Stroncatoio #14: Funeral Suits – Harper Simon

1338876555_funeralsuitsalbumFuneral Suits – Lily of the Valley

12 Giugno 2013  – PID – Orodiscopo: Spilletta, Sorcino

Sara Manini – I Funeral Suits sono un quartetto synth-indie di Dublino. Proprio così, “synth-indie”. Ora, tralasciando il fatto che quel “synth” possa riferirsi alla presenza massiccia di sintetizzatori (che senso ha specificarlo, dal momento che anche la banda dei Carabinieri ormai usa massicciamente i sintetizzatori), resta il fatto che questo Lily of the Valley, album d’esordio della band, propone un “essere indie in modo sintetico”, in entrambe le accezioni che in genere si riferiscono a questo termine: a) sintetico, perché è imbottito di tutti gli slanci di successo che hanno delineato la corrente cosiddetta indie degli ultimi anni, ingurgitando trame alla Editors, catastrofismi macabri di casa White Lies e stizza da Bloc Party; e b) sintetico, perché c’è del finto, del sofisticato, nonché una promessa di dermatite acustica che scaturisce dall’ascolto di pezzi sopportabili come un maglione 100% acrilico a Ferragosto. E pensare che erano partiti più o meno bene, come testimonia quella Black Lemonade del 2010. Colpa di un superproduttore come Stephen Smith? Di sicuro l’ossessione per il dettaglio kitsch, nella musica come nei video, dà il colpo di grazia. SVR: 2-1-1 tot: 4

Harper-Simon-Division-StreetHarper Simon – Division Street

Aprile – Play It Again Sam – Orodiscopo: Barba, Spilletta

Giorgio Papitto – Metto su il disco, e subito inizia a ronzarmi in testa il nome di un artista, ma non riesco a comprendere bene quel brusio indistinto. Poi, piano piano, scovando alcuni dettagli su quest’ album, scopro che a produrre il figlioletto di Paul Simon è stato nientepopodimeno che Tom Rothrock, produttore del cantautore ormai di culto Elliott Smith. E eccolo qua il nome che cercavo: Elliott Smith. Mi chiedo come abbia fatto a non venirmi in mente prima. E così ho realizzato che questo è sì il secondo album per Simon Jr. ma forse è anche un ennesimo disco postumo di Elliott, figura alla quale sono molto affezionato. Diciamo però che questa reincarnazione musicale si è arricchita di alcune sonorità un po’ più crude, e al contempo un po’ più pop, alla The Shins, il che dal mio punto di vista è una caratterizzazione negativo. Ho sempre ammirato quella poetica della povertà da chi fosse in grado di usarla, e Elliott lo era. Simon invece no, non molto. Il pop-rock di Dixie Cleopatra scazzotta con Chinese Jade, d’ispirazione paterna, il plagio stilistico a Elliott Smith in Just Like St. Teresa si muove parallelamente al plagio di Black Mirror, degli Arcade Fire, in Division Street. Insomma, tra plagi e auto-plagi, il disco arriva alla fine, e lascia la sensazione di aver sprecato del tempo ad ascoltare il solito figlio di papà un po’ spocchioso e insignificante. Uno tra i tanti. – SVR: 1-2-1 tot: 4