Attitudine e visual: Il palco dello Spazio211 è il solito anfratto intimista, corredato per l’occasione (non si sa bene il perché…) da una micro fila di sedie ai piedi dello stage che più che giovare ai culi dei fortunati avventori, danneggia l’interazione col calorosissimo parterre. Pianoforte a coda, arpa e violini attendono solo l’entrata in scena del ventisettenne, che sfoggia un impeccabile completo blu scuro smorzato dalla camicia africaneggiante fregiata di piante lussureggianti, il giocoso cravattino a fiocco e l’immancabile cappello vintage. Look in bilico tra il Pete Doherty parrocchiano ed il Bowie da gala insomma, portato con classe e disinvoltura dal giovane britannico peraltro via via sempre più “alleggerito” nel vestiario causa il caloroso incedere dei brani in scaletta.
Audio: impeccabile, per un set che si configurava già alla vigilia come acustico “per scelta” e che spiazza/esalta in maniera clamorosa per la sua compattezza, freschezza, intensità, verve d’entertainment, capacità tecnico-strumentale, padronanza canora, in un contesto definibile quasi unplugged rispetto alle sferzate folktroniche, più o meno dark, che emergono dall’ascolto su disco. Ti aspetti tutt’al più un maghetto del computer e ti ritrovi davanti un polistrumentista dalla classe sopraffine, capace di destreggiarsi tra tasti ,corde ed archi con la spigliatezza propria dei talenti cristallini, accompagnato unicamente dall’eccezionale violinista Victoria Sutherland, in un connubio di anime su cui fa capolino, sinuosa e coinvolgente, l’incredibile vocalità dell’eroe di serata.
Set list: Scaletta ricca e varia, per un artista che non si risparmia (“mi hanno chiamato per suonare un’ora ma io non sono certo venuto fino a Torino per suonare solo un’ora!”). Esecuzione quasi per intero dell’ultimo lavoro “Lupercalia”, grido d’amore alla dea della prosperità: il pathos intimista di “Armistice”, lo slancio comunitario di “Together”, la malinconia surreale di “The Future”. Gemme dei lavori passati (“Sing” in versione acustica letteralmente da brividi, l’enfatica “The Magic Poison” decisamente trascinante anche senza il supporto dell’elettronica) e prima presentazione di tracce tratte dall’ultimo ep “Brumalia” (“Bitten” dal sapore dark). Chiusura con la teatrale “Falcons” e le sue sviolinate svolazzanti.
Wolf discioglie una dietro l’altra pillole ipnotiche di grazia e bravura, lasciandoci estasiati canzone dopo canzone, riscoprendoci più vivi ad ogni scroscio d’applausi meritatissimi.
Momento migliore: Tanti i momenti memorabili, al di là delle perle canore: i genuini siparietti col pubblico nell’introdurre una nuova canzone (con il buffo leimotiv spagnoleggiante “esta canzone”), l’autoironia mista a commozione quando rievoca un concerto di gavetta a Torino di ben 10 anni fa da cui dice “non è cambiato niente in me, a parte l’esser più vecchio e grasso!”.
Picco d’intensità nella sublime “The Tinderbox” rifatta utilizzando la dicitura italiana destra/sinistra (invece che “left/right”) chiesta sul momento al pubblico.
Locura: Almeno in questa occasione la parola sbavatura sembra non rientrare nel vocabolario di “Patrizio Lupo” (così se è definito ridendo!). Non trovare il plettro è locura se subito dopo si delizia l’odience con una sei corde versione mignon?
Pubblico: Affluenza più che buona per un artista tutto sommato di nicchia, che può però davvero permettersi velleità “da grandi palchi”. Circa duecento anime affollano lo Spazio211 andando a formare un pubblico abbastanza eterogeneo: dagli attempati fan di Morrissey curiosi di aver prova della caratura artistica del giovane talento al pubblico indie più giovane e modaiolo.
Conclusioni: Patrick Wolf: l’enfant prodige fecondato dalla pioggia dorata di Bowie e Morrissey, il moderno Todd Rundgren, il licantropo romantico. Per alcuni lo sbarbatello indiepop della porta (oltremanica) accanto, per altri (e a pieno titolo a questo punto) il futuro del pop cantautorale/orchestrale a 360°.
Doti fuori dal comune vanno di pari passo con una squisita ingenuità mai stucchevole. Intenso e soave, melodrammatico e sbarazzino: si sentirà molto parlare di Patrizio Lupo.
Più che un concerto un atto d’amore quello che si è consumato nel nido indiependente ai piedi del parco Sempione.