OvO – BlahBlah (Torino) – 8/12/2011

Attitudine e Visual: nel caso di una band come gli OvO (leggi la recensione di Cor Cordium), l’aspetto scenico va a fondersi in maniera biunivoca con la performance live, in un connubio di suggestioni in cui l’inquietante presenza on stage del duo va di pari passo con le demoniache sfuriate strumentali. E’ tutto parte di una magia, un rito del quale le maschere sono testimonianza arcaica d’una volontà di trascendere se stessi da una parte ed assurgere allo status di performing art dall’altra. Due attori nel senso più alto del termine, legati visceralmente ad un concetto panteistico dell’opera d’arte, in cui musica, teatralità e visual diventano tramite unitario della personalissima ed atavica urgenza comunicativa della creatura OvO. Bruno Dorella è un colosso mascherato da lottatore messicano con canotta total black e gonnellone tribale: è inquietante quanto coinvolgente vederlo aggredire fisicamente lo scarno impianto di percussioni da in piedi macinando ritmiche ubriacanti. Stefania Pedretti è una bambola voodoo di pezza sgualcita, disarticolata ed al tempo stesso dotata di una grazia sinuosa ed ipnotica: maschera di pizzo, pseudo-scarpe di tela aggrovigliata e chioma rasta annodata fanno da contraltare visivo al suo viscerale espressionismo lirico. Il gusto per gore e splatter ed il fervido immaginario horrorifico in genere, sono un divertissement (nonché una passione) presente ma non centrale né forzata per una band ironicamente attratta dai clichè dell’occultismo e devota totalmente al Verbo sperimentazione.
La lugubre saletta del BlahBlah ben si addice al mood della band, la cui performance è scandita anche dal susseguirsi sullo schermo retrostante al palco delle magnifiche quanto “forti” e spiazzanti tavole pittoriche di Enrico Mazzone, che accompagneranno l’intero tour degli OvO.

Audio: magnifico, granitico ed squisitamente molesto. Si ha la sensazione d’essersi perduti negli anfratti dimenticati d’una grotta della Romania del Sud. Il merito del mastodontico rilascio di decibel degli OvO a partire da una strumentazione base ridotta all’osso va alla smisurata perizia del tecnico del suono Rico (già al lavoro con Uochi Toki).

Set list: gli OvO sono da consumarsi in fretta, come una vendetta tra bande nei vicoli di Berlino, come la bomba che ti esplode in cranio all’udir “Orcus”, “Nosferatu”, “la Bestia”. Spararsi due ore tra Crocevia e Cor Cordium sarebbe controproducente oltre che soffocante. Mezzora on stage è dose appropriata in quanto a geometrie OvOcentriche. Spazio allora al Cuore dei cuori, ultimo lavoro in studio per il combo Dorella-Pedretti con una “Marie” barbiturica ed il mesto incedere di “In ogni caso nessun rimorso”. Senza tralasciare perle del passato quali “La Saponatrice di Ferrara” e “Crocevia”.

Locura: per quanto una sottesa ironia sia alla base del combo, di primo acchito guardando ed ascoltando gli OvO dal vivo sembra impossibile aspettarsi qualcosa di “divertente”: l’entertainment è teatrale sì, ma tutt’altro che cabarettistico! Un misto di inquietudine e spiazzamento si fa però curioso siparietto prima della dissoluzione finale:  a metà concerto Big Bruno in versione mariachi assassino, aggira la sua batteria da busker e scende dallo stage, placido ed estatico si piazza davanti alla prima fila e saluta con inchini orientali a mani congiunte coloro che si ritrova di fronte.

Pubblico: difficilmente definibile/collocabile, esattamente come la proposta musicale degli OvO. Si percepisce una base (trash)metallara ma il vero collante è una viva sensibilità per la sperimentazione, l’avanguardia, il desiderio di esser stupiti.

Conclusioni: una proposta luminare, epica, che probabilmente non può che essere compresa solo parzialmente se non accompagnata da un’onnivora ricerca musicale e da una dote che il mercato odierno sembra aver dimenticato: la curiosità.
“Captate i fermenti vitali, cominciamo tutti ad ascoltare la Musica, non il Mercato”: OvO dixit. Sottoscrivo.

Le Foto non si riferiscono alla data recensita