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17 Gennaio 2012 | Diaframma Records | Diaframma.org |
Erano anni verdi, di orgogliosa solitudine, chissà se diventerò mai un uomo. Erano gli anni Ottanta e la cinica Firenze apriva il suo guscio alle angosce new wave e ai torpori post punk fermentati oltremanica dando il via all’autarchica stagione musicale dei Diaframma: l’urgenza comunicativa di Federico Fiumani tracciò una parabola imperfetta quanto straordinaria, inventando a detta di molti, il cantautorato rock cantato in italiano.
A distanza di anni, in un gennaio tormentato della incertezze d’una esistenza precaria, Niente di Serio, ultima fotografia dell’alibi rock di Fiumani, risulta nuovamente credibile nei suoi scatti sbiaditi e fragili eppur così realisti e vividi. L’attacco di Vivo così è il Fiumani di oggi, ancora intrappolato nella prigione infesta della sua mente a chiedersi dove sarà la sua libertà, cinico e beffardo (“credi davvero a tutte le puttanate che dico?”) nell’indagare l’animo umano con una sottile ed ostinata rassegnazione, nella consapevolezza che in fondo il mistero della vita non sarà mai svelato, perché se no finisce il gioco. E allora “cara Entropia, portami via”, trascina questo “grande cazzo che si indigna” nel flusso di coscienza ove sogni del cuore e sperma nell’occhio si confondono con sempre nuova mestizia. Trascinami nel caos intellegibile della vita cittadina moderna di Aburdo Metalvox (che ricorda vagamente i drammi interiori di Charles Aznavour), dove nel mio essere refrattario ad ogni parte di realtà la città mi sembra vuota e silenziosa. Le reminescenze Joy Division sono nel DNA Fiumani: il pianoforte funereo di Madre Superiora è irradiato da nuova linfa post-rock (si palesa una versione intimista de Le nostre ore contate dei Massimo Volume). L’irruenza del ’77 affiora, acida e schizoide, nell’inno a La Botta di Energia del rock, sguaiata dichiarazione d’amore che parte dalle viscere di Fiumani per arrivare dritta ai piedi del parterre, assai debitrice della filastrocca spacca ossa Ramones made in CBGB. Niente di Serio parte col nervosismo del Seattle sound (chi ha Scentless Apprentice dei Nirvana?) per poi sorridere allo sguardo di una donna crogiolandosi nell’illusione di non volere niente di serio appunto, per paura di mostrarsi a cuore aperto pur sentendo il bisogno di farlo.
La leggerezza mai doma di Nelsonn, l’ironia velata de Tempesta nel mio cuore lasciano spazio a (fin troppo palese nelle sue imperfezioni per risultare credibile) Carta carbone, un po’ scialba nel suo oscillare tra Dente e Baustelle senza dar prova di essere la matrice ispiratrice di questi ultimi (“sto bruciando le speranze di stare lontano dai guai” fa tanto Vita Spericolata…). Grande come l’oceano cita nuovamente i Ramones, stavolta in senso letterale, ricordando in maniera euforica come “ogni loro disco era una festa”. In Anime morte l’ansia si fa squisitamente combattiva in quel liberatorio “ma sparatevi!” da servire rigorosamente abbinato al “fatevi fottere!” di Giorgio Canali. L’imprecazione risuona in testa come le lancette dell’Orologio rotto che chiude il meraviglioso “soliloquio collettivo” dei Diaframma col mondo.
C’è una “Lei” ad aleggiare per l’intero albo nella mente e nelle parole di Fiumani: una vera ossessione quella per il gentil sesso, una psicosi in bilico tra attrazione e repulsione, che egli vive talvolta come una tirannia latente, legata ai trascorsi del cantautore cresciuto da madre e sorella, in una società a suo dire in cui la presenza femminile è tutt’altro che ininfluente che condiziona inevitabilmente i futuri rapporti con sesso opposto. È questione secondaria ma complessa, che merita di essere affrancata dalle accuse di semplicistico sessismo: viene piuttosto da pensare ad una sorta di insofferenza nei confronti di uno pseudo-matriarcato casalingo (forzato più o meno da meccanismi sociali insulsi e ormai degenerato in forme peggiori di discriminazione accettate spesso troppo facilmente dalle donne) quanto mai italiano, la sensazione che prova Tyler Durden in Fight Club forse, quando si chiede “Siamo una generazione di uomini cresciuti dalle donne. Mi chiedo se è davvero un’altra donna quello di cui abbiamo bisogno”.
Gli idiomi dei Diaframma degli Anni Zero rimangono pressoché invariati: meno narcolessia dark-wave e più colore forse, delicatezze intimiste e ciniche virate post-punk, nel dolce naufragar in direzione Siberia.
“Voleva cambiare”, Fiumani, “ma è ancora qua”. Per fortuna.