Death Grips – The Money Store

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Se al posto degli aerei sugli uffici, dei kamikaze, delle armi e di tutto il resto, al Qaeda avesse scelto i dischi, questo gruppo sarebbe stato ground zero. The money store è un tentativo di cambiare le carte in tavola, un esperimento pioneristico, il terrorismo: scordatevi di ogni cosa che avete messo nello stereo da quando siete nati, perché qui siamo alle bombe. Ogni brano di questo disco è un attacco a tutto quello che esiste, perché risponde con un vaffanculo secco a ogni confronto che ci venga in mente di fare.

I Death Grips nascono il 25 dicembre 2010, sono un collettivo californiano, di Sacramento, composto dal vocalist Stefan Burnett e dai produttori Zach Hill e Andy Morin, e questo è il loro secondo disco. Ascoltandoli si viene travolti da uno tsunami di impressioni, spesso contrastanti. A volte è esaltante, e non vorresti smettere mai, altre volte ti viene voglia di spegnere tutto e mettere su Mia Martini, ma solo per riposarti un attimo. Di fatto, è un hip-hop oscuro, sperimentale, contaminato. Techno, dub, elettronica fanno il resto, e queste produzioni sono le cose migliori che mi sia capitato di sentire ultimamente.

La voce è arrabbiata, vera, e vedere Burnett in azione mette i brividi. Talvolta tutto questo assume sembianze umane, quasi normali, ma sempre potentissime (“I’ve seen footage”). E poi il brano dopo ti dà un calcio negli stinchi, coi campionamenti etnici, le campane e un ritmo sbilenco, capisci che ti sbagliavi, che era un attimo. Volendo per forza trovare dei paragoni, per chi non potesse farne a meno: El-P, Aesop Rock, Dalek. Per restare a casa nostra, gli Uochi Toki, forse. I Death Grips però non sono intellettuali, stanno senza maglietta e fanno paura. Aprite il culo, 9/11.