ATTITUDINE E VISUAL: Questo evento è stato fino all’ultimo un grosso punto di domanda: cosa suoneranno Manzarek e Krieger? Se si appoggeranno al repertorio dei Doors, chi canterà? Ci sarà gente a Capannelle, per due musicisti che senza la presenza di Jim Morrison han camminato ben poco sulle loro gambe? E mi son tenuta le domande, senza cercare troppo online le risposte. Puntuali, alle 21.45 arriva sul palco Ray Manzarek, visibilmente emozionato e commosso. Con un paio di pantaloni alquanto bizzarri – con una stampa a stelle e strisce che stonerebbe addosso ad un ventenne, figuriamoci ad un adulto – lo segue anche Robbie Krieger. Poco importavano però gli abiti o gli allestimenti di scena (batteria al centro del palco, tastiere sulla sinistra, chitarra e basso sulla destra): volevo capire cosa avrebbero suonato e con quale cantante.
Perché fra le tante ipotesi c’era pure quella di non sostituire l’insostituibile, e realizzare un live con mega schermi nei quali sarebbero state proiettate immagini del Lizard King con la sua voce registrata.
Con piglio deciso, è invece arrivato Dave Brock, vagamente somigliante nello stile a Jim, ma per nulla presuntuoso nel volerlo impersonare a tutti i costi.
AUDIO: Magnifico. Nessuna sbavatura nei suoni, brani eseguiti con passione ed esuberanza. Sul palco c’è compattezza, si fonde la voce di Brock con gli assoli di Krieger e le stravaganze di Manzarek (che ad un tratto, durante “Light my fire” si alza in piedi e mette una gamba sulle tastiere continuando a suonare impeccabilmente). I “ragazzi” sul palco si divertono a suonare e lo mostrano con interazioni continue col pubblico.
SETLIST: Non è il 2012, siamo alla fine degli anni Sessanta. Lo comprendo quando esplodono le luci ed il concerto si apre con un annuncio: “Ladies and gentlemen, from Los Angeles, California, The Doors”. Ed ecco le note di Roadhouse Blues, Alabama song, Love me two times, Riders on the storm (brano durante il quale, a tratti, sembrava di sentire Jim e non Dave). E poi Light my fire, Break on through, Touch me, People are strange, L.A. Woman.
MOMENTO MIGLIORE: È stato un live di quasi due ore, sostenuto e irruento. Ma a mio avviso, il momento migliore è stato sicuramente quello durante l’esecuzione di Riders on the storm. Perché è uno dei miei brani preferiti, intenso e carico di significati oscuri. Ed è durante questo brano, appunto, che Dave Brock in alcuni passaggi sembrava semplicemente Jim con la sua voce disincantata, profonda. Girl ya gotta love your man / Take him by the hand / Make him understand / The world on you depends / Our life will never end
È un momento di splendore generale, durante il quale gli occhi di tutti sono puntati sulle dita di Manzarek che picchiettano la tastiera facendo nascere suoni, sensazioni, emozioni.
PUBBLICO: Numeroso – dicono ci siano stati circa 3000 spettatori – e variegato. Moltissimi i ventenni, ma non sono mancati nemmeno i cinquantenni che hanno accompagnato i figli. Una cosa è sicura: dalle prime note di Roadhouse Blues al finale con Light my fire, solo durante Riders on the storm nessuno ha pogato. Per il resto, sono state due ore di delirio psichedelico: per l’udito, la vista, ed anche il tatto. Impossibile uscire indenni da un concerto simile: mani perennemente alzate, salti, gente che cantava a squarciagola.
LOCURA: Nulla di particolare da segnalare, se non la buonanotte dedicata da Manzarek ai presenti: “Go home, fuck and smoke some joints.” Chissà se l’ha detto perché nelle prime file si respirava solo quello…
CONCLUSIONI: È una performance che non delude le aspettative, ricca di sfumature nostalgiche per il vuoto lasciato da Jim ma al contempo piena di enfasi: ancora una volta, è una fortuna poter assistere ad un live di musicisti che hanno plasmato parte della storia musicale mondiale.
Le foto non si riferiscono alla data recensita