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27 Agosto 2012 | Ghostly Int. | MatthewDear.com |
Matthew Dear, texano di nascita, è sempre stato combattuto, musicalmente parlando, fra Detroit e Berlino. Con Beams l’artista sembra aver scelto, forse definitivamente, la sua collocazione geografico-musicale.
Non è più tempo di alzare le mani, come si veniva incitati a fare nel suo primo singolo del ‘99 Put your hands up for Detroit. Il lato techno della città post-industriale che diede i natali a Derrick May rimane sullo sfondo dell’album, a tratti nemmeno rinvenibile, relegato ad altri progetti sotto vari moniker (Audion su tutti). Dear sembra invece aver preso un volo diretto verso la Berlino New Wave di fine anni ’70. Si fanno sempre più forti, ancor più che nei due album precendenti (Asa Breed e Black City), i richiami al duo Bowie-Eno del periodo berlinese e all’ avant-pop di David Byrne tutto, ovviamente, rivisitato in chiave più elettronica.
Così in Her Fantasy , traccia iniziale, la voce intimista si intreccia al loop ambient dando vita ad una fusione sobria ed elegante. Si prosegue con Earthforms, il brano meno dance, più scarno, con batteria, giro di basso e voce a comporre un mix riuscitissimo che difficilmente sentirete suonare in una discoteca dal vostro dj di fiducia. Headcage assomiglia ad una Born under punches rallentata e potrebbe perfettamente essere inserita come bonus track moderna in Remain in light. Perfino nella parte centrale dell’album, quella più ballabile, Dear rimane coerente così da far apparire incolmabile la distanza fra il suo attuale uso del funk e quello più aggressivo e techno di Dog days. Nell’ ultima parte, mai stanco di sperimentare, il nostro producer sforna tracce come Ahead of myself che ci portano su atomosfere “chill” più distese, quasi alla Washed Out.
Molti sono i riferimenti in Beams : dalla New wave alla Minimal passando per contaminazioni afro fino al Funk . Non c’è, sia chiaro, nessuna rivoluzione né tantomeno nessuna invenzione epocale. C’è però una mente brillante ed eclettica capace di svariare di genere in genere arrivando probabilmente alla tanto attesa maturità sonora. Parafrasando un film di fine anni ’90 vengono alla mente due considerazioni: 1. Mattew Dear è pazzo. 2. Può permetterselo.