Diablo Swing Orchestra – Pandora’s Pinata

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La leggenda narra di un’orchestra vissuta nel tardo 1500, i cui componenti furono perseguitati e uccisi con l’accusa di eseguire musica blasfema. Poco prima della tragica dipartita, l’ensamble, (nome omen) Diablo Swing Orchestra, proclamando la vita Eterna della propria scabrosa arte, strinse un patto promettendo che a 500 anni da quel triste epilogo i discendenti avrebbero rifondato l’Orchestra degli avi.

Hanno pur sempre uno spiccato gusto per il mitologico unito al divertissement, gli svedesi. Eccoli allora i pronipoti: ben otto elementi, pronti a rivelare un vaso di Pandora carico all’inverosimile di suggestioni, riferimenti, stilemi.
La formula è poi rimasta quella dell’esordio “The Butcher’s Ballroom” (datato 2006) ma mai come stavolta si rivela (con)vincente nella sua grottesca teatralità. I meno avvezzi al kitch (ma anche i meno dotati di sense of humor) lo liquiderebbero così questo “Pandora’s Pinata”: swing suonato come fosse metal. In realtà dentro c’è un piccolo-grande circo confusionale dal quale lasciarsi abbagliare: c’è Tim Burton che sovrappone il Paese delle Meraviglie e La Fabbrica di Cioccolato (o forse è un Paese dei Balocchi immaginato da Rob Zombie?), ci sono gli Hormonauts che fanno cover dei System of a Down (qualcuno ha detto “Sugar?!”), c’è Parov Stelar con il senso della misura di Freddie Mercury e i trascorsi metalcore si Skrillex. Un funambolico drumming jazz(-core), archi e fiati impetuosi e un tiro portentoso fanno il resto (iniziate a lucidare le scarpette a punta per “Voodoo Mon Amour”), con creatività, mestiere e sfrontatezza.
A parte qualche episodio stucchevole (come il freak-latin di “Guerrilla Laments” o l’exploit lirico affidato alla soprano Annlouice Leogdlund in “Aurora”) il disco gira che è un piacere, come in ottovolante alle giostre.
Alla lunga stancherà il bizzarro “swing-core” della D.S.O., ma nel frattempo, a unire i puntini tra Abba, Meshuggah, Turbonegro e Hives con questa (auto)ironia, stuzzicano davvero, questi svedesi.