PIL – This is PIL

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Capire la necessità storica di certi ritorni può far male al cervello….

Pensare che lo stesso progetto che diede alla luce due capolavori come “Flowers Of Romance” prima e “Metal Box” poi, sia lo stesso genitore di questo doppio LP lascia più dubbi che certezze. Che il sempri-marcio John Lyndon abbia ripreso un’attività live indiscutibilmente di buon livello, in cui la propria eterna follia riesce a dare sfoggio espressionista di sé è fuori discussione. Che questa nuova opera abbia un motivo concettuale di esistere, invece sì.

“This Is PIL” è fuorviante sia dal titolo, dalla sua missione. Questi non sono i PIL di trenta e passa anni fa, ma non nel senso nostalgico e malinconico del termine. Questi non sono i PIL provocatori, sperimentali e distorti che hanno segnato lo scenario decadente e mutante del post punk e della wave.

I primi pezzi di apertura, ovvero la titletrack  “One Drop” (già uscita in 12″ per il Record Store Day) sono i sintomi perfetti di una tendenza radiofonica delle nuove canzoni in cui un’anomala linearità e omogeneità ammorbidiscono i latrati e invettive di Lyndon. Il reggae\dub che di tanto in tanto compare tra i solchi è ben altra cosa rispetto alle ipnotiche strutture drogate della mitica “Albatross”.

I ritornelli vengono più che abusati, come nella rintronante “Deeper Water”, e rovinano la degustazione di brani più riusciti come “Terra Gate” o “It is said that”. Gli esperimenti più vicini all’hip hop o a una forma pop tendono a ovattare il tutto dentro una curiosa massa informe di cui è difficile trovare elementi forti di personalità.

I PIL di oggi (ricordiamoci che Jah Wobble è assente) sono una live band che cerca un motivo artistico per esistere oltre al ricordo di una carriera epica. Nient’altro.