Dirty Keyboard #2 – Officine West Coast, motocicli e mod: Teapot Industries inc.

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In una di quelle fresche serate di prima estate, una di quelle serate romane che ha appena spiovuto, che il cielo si è aperto e ha portato con sé il profumo del mare non troppo lontano e delle cene in balcone, in una di quelle serate dicevo, se ti capita di passare, giubbotto alla mano, in quella terra di mezzo di automobili e autobus tra il cavalcavia della tangenziale, le mura del Verano e il casino di san Lorenzo che si chiama via Tiburtina, potresti decidere di fermarti all’interno dello storico concessionario Moto Guzzi, al civico 249, e provare l’esperienza di essere risucchiato per caso in una dimensione parallela di pace e di calore. Il locale è una di quelle sorprese piacevoli e sottili che la vita di città ogni tanto ci riserva. Innanzi tutto hai già trovato parcheggio, il che aiuta. In secondo luogo non ci sono urla, motorini che sfrecciano, abusivi che chiamano e poliziotti che fischiano. C’è un locale arredato in stile bric-à-brac, con colori chiari, sedie e tavolini spaiati, come si usa (un po’ troppo) ultimamente. Ma l’insieme non è affettato o artefatto: te lo fanno capire da subito i modi sorridenti e appassionati dei gestori. Dai diffusori arriva un disco dei Pearl Jam, Yield, e… sarà stato il giorno, il disco, l’aperitivo vegetariano, la buona selezione di birre (c’è anche la Fuller’s London Pride alla spina), o la pacatezza dell’atmosfera, ma per un attimo mi sono sentito a casa.
foto-2-officine-san-lorenzoMi sono sentito come se il sogno americano di Seattle o di Berkeley che avevo fatto molti anni prima quando ero studente del liceo si fosse materializzato lì, su quella via e in quel momento, in uno spazio e un tempo che già avevo già percorso molte volte distrattamente per andare all’università. Magari ce lo avevo messo io anni prima, ed era germogliato adesso. Ora va detta una cosa: sono sicuro che quando i gestori hanno concepito l’idea e l’arredamento del locale avessero in mente qualsiasi altra cosa tranne l’America. Magari avevano in mente l’Inghilterra o un revival dello stile Mod. Officine San Lorenzo si chiama, e se vi interessa, sul lungo corridoio d’ingresso dove un ragazzo biondo, taglio scalato alla Gatsby e impeccabile Fred Perry, vi accoglie, fanno mostra di sé ben lucidate e splendenti degli esemplari di Vespa e moto Guzzi. Qualche altro motociclo rétro e accessori per i biker completano il quadro. Però ecco, insomma, quella costruzione bassa e quella lunga via di scorrimento mi fanno pensare inequivocabilmente alla West Coast, specie quando ti siedi sulla panca in legno all’esterno a fumare una sigaretta e a contemplare gli ignari passanti che passano, con un mezzo sorriso.

Si dà il caso che proprio quella sera la rivista LeCool organizzasse una della sue settimanali serate di musica dal vivo dove trovano spazio formazioni e artisti lontani dai soliti giri dei promoter e delle agenzie. Bene. Altro motivo per restare.

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I Teapot Industries…

E quindi resto. Mentre finisco la birra prende posto sul piccolo palco rialzato un bizzarro tipo a cui avrei dato circa 17 anni, esile e elastico che si porta dietro uno strano ingombrante accrocco di legno, un incrocio tra un pulpito giocattolo da predicatore e un coin-op da sala giochi: un pannello in compensato lilla su cui compare il logo Teapot Industries (“Industrie della teiera”), dal quale vedo spuntare un microfono, un rullante (su cui, non so perché, ricordo disegnati dei baffi), qualche spinotto usb, e chissà cos’altro. Lui esprime una musica che si colloca a un rischiosissimo punto d’incontro tra (prendete fiato) un Jeff Buckley in vena di psichedelia, il prog dei Genesis, i Pink Floyd, le ballate dei Deep Purple, il synthpop ballabile degli Empire Of The Sun, I King Crimson e i Muse più barocchi (che se poi ci pensate bene…). E il fatto è che lo fa (giuro) come se fosse niente, armato peraltro di una certa ironia, imbracciando una keytar usb midi di legno a quadretti rosso e bianco laccato (!), mentre dietro al kit della batteria una vigorosa signorina batterista, metalmeccanica e acerba q.b., spettina il pubblico picchiando mazzate garage come una versione meno aggraziata di Meg White dei White Stripes. Il soundcheck è impacciato, ma ha qualcosa. Niente di pomposo o manierista, è DIY al 100%, al limite tra genio e autocommiserazione, arrembante e coraggioso: tutto è giovane e fresco, irriverente se vuoi, ed è anche un cantiere aperto di talento naturale e coscienza delle proprie fonti.
a2956316496_2Quando mezz’ora dopo me lo rivedo comparire sul palco per la performance, è vestito come una versione a bassa fedeltà di Icaro (maglietta bianca, maniche strappate, leggings neri e una fascetta bianca a tenere i capelli scomposti), è allora che decido che questo tizio mi sta molto simpatico. Al terzo inserto inaspettato di synth vengo pescato con un’espressione tra l’ebete, l’ineffabile e l’affascinato che suscita l’ilarità dei miei compagni di tavolo. Quando poi lo strano ragazzo fa, come fosse niente “questo brano parla del primo caso di eutanasia nello spazio”, forse non lo sa, ma mi ha già colpito e affondato. Finisce che, concluso il concerto, vado a scambiare con lui due parole, gli prendo il disco e pochi giorni dopo sento il bisogno di intervistarlo. Voglio sapere chi sia questo folle.

Ecco a voi un estratto della nostra conversazione. Vi presento Andrea Lomuscio, titolare del progetto Teapot Industries.

L’intervista

DK: Ciao Andrea, innanzi tutto parlami di quell’ “accrocco” post-industriale che ti porti sul palco (che è anche molto poetico a dire il vero eh). Spiegami come l’hai costruito, da che parti è composto, e se vuoi essere anche tecnico fai pure. La chitarra mi è sembrata un controller midi giusto? Vedevo una usb che si collegava a qualcosa che avevi in tasca….
Dunque, iniziamo dalla chitarra. Potrei incominciare dicendo che Matthew Bellamy dei Muse nel video di Undisclosed Desires mostra una chitarra che per metà basso e per metà tastiera, se non sbaglio. Io ne ho costruita una ispirandomi a quella, e a altra roba che ho trovato in giro per la rete…

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DK: ah, ma l’hai costruita tu?!
Sì! Si chiama Arcadetar, l’ho chiamata così a perché a me sembra un po’ un giocattolo. Con nonno ho fatto la struttura in legno (è stato un po’ un errore partire da zero, sarebbe stato più pratico prendere almeno un manico di una chitarra vera). Comunque il funzionamento è abbastanza semplice: nel body della chitarra c’è incastrata una tastierina usb dell’Akai, poi sempre nel body c’è tutto il circuito elettronico che fa funzionare l’accrocco, praticamente è un microcontroller Arduino (che costa tipo 16€), e questo controller sono collegati i sensori lunghi che sono attaccati al manico. In sostanza una striscia controlla la pressione, e subito sopra ho incollato un’altra striscia che controlla la posizione, stessa cosa sotto. Sono praticamente due lunghe resistenze. Su Arduino ho scritto tutto il codice, è un circuito programmabile via usb. Grazie a quello prendo il valore della resistenza e lo trasformo in una nota.

DK: c’è tutta una comunità di smanettoni che fa progetti con Arduino, giusto?
Sì, il bello di Arduino è proprio questo, che ho potuto usare librerie esterne per comunicare utilizzando il protocollo midi con il Mac, altrimenti sarebbe stato molto più complicato. Poi c’erano altri progetti simili da cui ho potuto prendere spunto…

DK: ok, per cui la nota la fai sul manico, e sul manico la chitarra percepisce anche la pressione che usi.
Esattamente.

DK: per cui è come se fosse un piano chitarra, non devi splettrare insomma.
Bravissimo, quindi posso anche suonare due strumenti insieme.

DK: e infatti suoni anche una tastiera, che sta dietro il pannello lilla che hai sul palco, che tastiera è?
Quella è una normale tastiera usb come quella che c’è anche nella Arcadetar. E poi c’è la pedaliera, che è sempre un controller usb. Tutti gli strumenti sono pilotati da Ableton, e infatti dietro al pannello viola non c’è un portatile, ma un iMac, perchè con un portatile il progetto saltava… :D. Spero infatti di prendere un portatile più potente così evito di portarmelo in giro.

DK: Com’è iniziata questa tua passione da smanettone dei suoni? Mi interessa davvero…
Ti spiego brevemente com’è andata. Sin da bambino mi divertivo a cancellare le cassette preferite di papà per ricantarci sopra con il “canta tu” xD
Poi ho scoperto che esistevano le basi midi, e allora mi divertivo a scrivere dei testi ‘nuovi’ sopra a canzoni esistenti, e, per la felicità dei miei parenti, a organizzare terribili mini concerti nel salone di casa.
Tutto diverte, ma arrivato a 15 anni decido di cominciare a studiare veramente musica, e scelgo il pianoforte (non perché mi piacesse, ma semplicemente perché con una tastiera potevo fare tutti i suoni del mondo, o quasi…).
Appena comincio a studiare piano mio padre ritira fuori il vecchio gruppo con cui faceva i Genesis quando era piccolo e così scopro i Genesis a 15 anni… praticamente mi si apre un mondo. Comincio ad appassionarmi al prog, comincio a suonare e scrivere canzoni con altri ragazzi della mia età, ma mi rendo conto che quello che stiamo creando non è nient’altro che un’imitazione del prog degli anni ‘70. Così nel frattempo, a tempo perso, comincio a registrare completamente da solo alcune idee che avevo in testa: l’idea che avevo in mente era di fare prog, ma un prog più… orecchiabile!

TeapotDK: infatti nel disco mi sembra ci sia proprio un omaggio ai Genesis, sbaglio?
Sisi, su Religion Town c’è una citazione di Firth of Fifth che invece di essere suonata in Sib maggiore, è suonata in Sib minore.

DK: un po’ come omaggiare tuo padre? Una cosa d’affetto?
Beh sì, in generale omaggiare il punto da cui tutto è partito. Comunque un altro punto fondamentale da cui sono partito era quello che chiamo “la poetica dell’artista bastardo”. Praticamente i brani dovevano essere più corti possibile, in particolare i pezzi più belli, così quando qualcuno ascoltava un passaggio particolarmente bello avrebbe detto “che bastardo! Perché l’hai fatto già finire?”

DK: ahahah
Ovviamente sembra una pazzia, perché il trucco nella musica sta nel ripetere, ripetere, ripetere, ma ovviamente non potevo contare sui passaggi in radio o su mtv, dovevo escogitare un modo per invogliare a farti riascoltare il pezzo… E nella mia mente il fatto di fare un pezzo bello corto avrebbe potuto invogliare la gente a riascoltarlo. Non so esattamente se la cosa abbia funzionato, però mi piace pensarla così :)

DK: senti, fammi capire, ma tu quanti anni hai? Te lo chiedo perché mi sei sembrato giovane, e mi stupisce che un ragazzo della tua età, poco più che adolescente o giù di lì decida di suonare il prog degli anni 70 con altri coetanei! È una cosa che non mi aspetto da un ragazzo cresciuto tra mtv, DeeJay Tv e Fedez.
Ahahaha, di anni ne ho 21, anche se me ne danno 17 xD

DK: sei comunque giovane…
Sì, ma alla fine è tutto nato negli anni di liceo dove ho cominciato a scoprire questa musica, ti dirò: ero diventato anche il classico cagacazzi-prog, nel senso che partivo con il preconcetto che tutta la musica nuova era merda. Ho dovuto aspettare la fine del liceo per cominciare a diventare più aperto “musicalmente”, anzi, oggi ascolto molta più musica nuova che vecchia.

564756_373900962679275_2137471721_nDK: c’è un disco particolare, o un particolare evento biografico, o un concerto dove metteresti il punto di svolta? Oppure è stato un passaggio graduale e naturale?
Ok, allora… i Genesis in realtà li ho sempre ascoltati perché ogni tanto papà si metteva sul piatto i cd o le cassette a casa, e io da piccolo li ascoltavo e dicevo: ” ‘mazza che schifezza”. A me da bambino piaceva Zucchero. il primo cd che comprai era spiritodivino, avevo 5-6 anni, ma non chiesi a papà di comprarmelo perché mi piaceva Zucchero, ma solamente perché c’era un gallo in copertina e a me piaceva :D. Ritornando ai Genesis, ho cominciato a capirli solo quando ero al liceo, perché papà mi aveva proposto di ritirare su il gruppo, e io, che ero al primo anno di pianoforte, avrei suonato qualsiasi cosa pur di suonare in un gruppo! Così incominciai ad ascoltarli con attenzione e fui inondato da una marea di suoni nuovi che non avevo mai ascoltato; in particolare il solo di The Cinema Show: i brividi quando l’ascoltai per la prima volta. Ricordo che pensai “voglio creare pure io una cosa così”. Poi vabbe’, c’era Internet, quindi mi sono scaricato di tutto e ho cominciato ad ascoltare il prog anni ‘70, Pink Floyd, PFM, King Crimson, ecc… (anche qui qualche cd lo trovai a casa e qualcos’altro lo trovai su Internet). E così arriviamo alla fine del liceo…

Ovviamente l’estate dopo il quinto ti devi distruggere, e così comincio a girare per le discoteche romane, e qui scopro una musica completamente differente, e un ambiente che avevo sempre odiato.

DK: parli di discoteche tipo Gilda, oppure discoteche alternative, rock ecc. (tipo Qube per intenderci)
Praticamente io durante gli anni del liceo ero un tipo “sposato”, quindi ero sempre con la mia ragazza. Poi alla fine del quinto ci lasciammo, e così comincio a uscire con una nuova comitiva (perché rincontro una vecchia amica). Frequentiamo per la maggior parte discoteche gay, quindi la musica era tutta house e commerciale, in particolare Lady Gaga che andava per la maggiore in quel momento. Però – ascolta e riascolta – alla fine comincia a piacerti.
Comunque il passaggio non è stato così netto, cioè, alla fine non mi dispiaceva ascoltare Lady Gaga in discoteca, ma… non è che poi mi andassi a comprare il disco!
Il primo disco di musica “nuova” che ho acquistato consapevolmente è stato Lungs di Florence + The Machine: lì mi si apre un nuovo mondo, mi dico “ma allora c’è speranza” xD. Se devo essere sincero il disco lo comprai solo perché nel video di You Got The Love Florence è una figona, e quindi rimasi incuriosito da lei più che dalla sua musica, ma ringrazio Florence di essere una gran topa perché quel disco mi ha folgorato, e da quel momento ho cominciato a comprare dischi di musica alternativa, tipo anche MGMT, ecc..

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DK: una domanda sulla tua batterista. È la stessa che suona sul disco? Dal vivo ha quell’attitudine al suono violento e naïf di Meg dei White Stripes, un po’ da metalmeccanica. Molto singolare sul tuo tipo di musica, dà al tutto un contorno lo-fi e punk molto spiazzante e divertente. Come l’hai conosciuta?
Matilde l’ho conosciuta con un gruppo con cui suonavo al liceo. Io volevo fare il prog, loro Ligabue: non funzionò mai! Però nella band c’era lei, e l’ho sempre trovata interessante nel modo che ha di suonare.
Sul disco che hai sentito non è lei a suonare, perché lì sono io che ho registrato tutti gli strumenti, ma lo pubblicai su YouTube con il nome di Teapot Industries, perchè volevo che sembrasse un gruppo figo, e non un ragazzino che aveva registrato il disco nel salone di casa (anche se poi è la verità)!
Poi arriva Halloween 2012 e Jerry Cutillo mi propone di fare un’apertura al Crossroads al suo concerto con Sonja Kristina, era una bella opportunità, ma io ero ancora da solo e non sapevo come fare. Decido così di chiamare Matilde e in due mesi riarrangiamo tutti i pezzi e li portiamo live: da qui nasce il progetto Teapot Industries come duo.
Ovviamente ora stiamo lavorando a nuovi brani, un po’ più elettronici rispetto ai primi, e andranno a completare l’album arrivando a circa 7-8 brani. Pezzi dove ovviamente le batterie le suona lei.

66230_4769564245914_308395473_nDK: per finire mi ha colpito molto anche il tuo look da palco, mi sembravi una versione do-it-yourself di Icaro o di un pastore dell’Arcadia, a cosa ti sei ispirato e perché?
Ahhahah a nulla, il 21 dicembre abbiamo fatto un live in un capannone con degli amici, e per l’occasione mi sono vestito da Madonna, Matilde si è vestita da San Giuseppe e siamo entrati con un bambolotto che simboleggiava Cristo. Ci è molto piaciuto essere stravaganti e blasfemi allo stesso tempo (d’altronde i testi dell’album vanno proprio contro le religioni e in generale il sonno dogmatico).

Però ovviamente era un look che si poteva ripetere solo a natale, quindi cercavo qualcosa di strano pure per i concerti successivi. Così ho aperto l’armadio di mia sorella e le ho rubato un po’ di vestiti XD

DK: un’ultima domanda, il testo sull’eutanasia nello spazio (com’è che lo avevi presentato dal palco?) è proprio una cosa alla Matthew Bellamy. Come ti è venuta in mente? Non ti nego che lì per lì m’ha fatto parecchio ridere, ma anche pensare “cazzo questo è un grande”.
xD. Era una notte di Luglio, su Discovery Channel facevano un documentario per l’anniversario dell’allunaggio. Finito quello sono corso al pianoforte e di getto è uscito il pezzo dei violini, da li poi ho cominciato a costruire tutto il pezzo… mi piaceva parlare di quest’uomo (da come l’ho raccontato al live non si capisce molto) che è pieno di soldi, e decide di usare tutti i suoi risparmi per passare i suoi ultimi giorni in orbita. In realtà poi si potrebbe vedere anche come la fine del dolore a seguito di una visione eterea… infatti un ragazzo del Kentucky ha fatto un trittico di quadri ispirati proprio a quel brano (Vieillesse Time) e li ha esposti in un ospedale, proprio a simboleggiare le 3 fasi del pezzo.

DK: ma dai, l’ha sentita su Internet?
Sisi, Vieillesse Time ha avuto un discreto successo su Internet…

DK: successo, tipo? Quanti click?
Niente di che, ma rispetto alle mie aspettative sono tanti!

DK: beh mica male cazzo, ci sono gruppi indipendenti italiani che si venderebbero il culo per fare 20.000 click, senza promozione e niente…
Sì, ovviamente è stato un colpo fortunato perché ho usato questo video …infatti finita la serie, finita la gloria xD

DK: cioé hai montato il tuo brano sulle immagini del trailer della nuova stagione di Skins? Ahaha sei un grosso.
Sì, ma ha funzionato perché la gente pensava che fosse il video ufficiale.
In realtà io avevo mandato i miei brani a quelli di Skins, ma loro non li cagarono proprio e allora sai che c’è? Il trailer lo faccio comunque xD

DK: rispetto,  comunque funziona davvero bene su quelle immagini. Senti caro mio, è stata un’intervista molto bella, grazie :)
Grazie a te per avermi ascoltato :)

DK: rimani sempre modesto, naturale e spontaneo come sei, è la cosa che più mi ha colpito di te dal vivo, buttavi lì i brani come fosse niente, come se dicessi “ok è ancora roba acerba, ma è tutto un lavoro in corso”
È veramente uno dei più bei complimenti che abbia ricevuto, grazie :) Di solito penso di essere un coglione quando presento i brani xD