ATTITUDINE E VISUAL: la performance mancuniana del trio canadese era un’opportunità che l’Ufficio Relazioni Internazionali di Rocklab non poteva lasciarsi scappare: in quale altro pertugio dello spazio-tempo sarebbe potuto succedere di presenziare ad un concerto sfascione in un posto che sembra il salone di tua nonna (con tanto di pappagalli sulla carta da parati)? I Metz hanno fatto tremare il pavimento del Deaf Institute, suonando ininterrottamente e ricoprendo le prime file di sudore. La tenuta da innocuo nerd di Alex Edkins non ha retto a lungo, e del resto nessuno si aspettava il contrario. Ad aprire l’atto di terrorismo acustico, i trascurabilissimi Cheatas e la risposta dark agli Hanson: i Wytches, che nonostante la tenera età hanno saputo preparare bene la platea.
AUDIO: essenzialmente: si è sentito bene. Niente fischi, né brusii, né tantomeno impianti che saltano, e per un concerto del genere la cosa è sorprendente. Come lo è la precisione che i Metz impiegano nell’eseguire persino il pezzo più devastante.
SETLIST: la scelta di aprire i recenti concerti con “Dirty shirt”, non facente parte dell’omonimo disco d’esordio della band, può sembrare discutibile. Ma di certo non ci si può attaccare a questo per infangare un live altrimenti perfetto: ‘Metz’ è stato suonato quasi integralmente, tutto d’un fiato, e come se non fosse bastata la musica a convincere gli astanti a scatenare il delirio, lo stesso Alex non ha mai smesso di incitare la folla a pogare violentemente (l’immagine è sempre quella: immaginatevi una scena di pogo violento nel salotto di vostra nonna).
MOMENTO MIGLIORE: “Wasted” è stato il pezzo più acclamato, al termine del quale Alex si è innalzato sulla grancassa dell’ottimo Hayden Menzies completando il quadro del power trio vagamente nostalgico che cerca di riattualizzare i cliché del rock.
PUBBLICO: giovani pseudo-metallari e bambole assassine a parte, la varietà della composizione del pubblico faceva immaginare che molti fossero capitati lì per caso. Che comunque è una buona cosa, nonostante l’inquietante presenza di camicie hawaiane.
LOCURA: mai visti occhiali tanto appannati e sudati come quelli di Alex, il che aumentava di almeno dieci punti il livello di difficoltà dell’esecuzione (e di inutilità del dispositivo ottico).
CONCLUSIONI: i Metz su disco fanno paura, e ancora di più dal vivo: la rara sinergia tra potenza e tecnica insegna tantissimo ai più che ritengono sufficiente sparare un distorsore al massimo per impressionare. Oltre allo sfascio c’è di più.