Driftwood non è un ep, non un semplice brano, bensì un viaggio musicale in tre movimenti (Colours and Lights, I Remember Something, Counting Shadows) che i King of the Opera fanno apparire come un fulmine nel loro cielo già irrequieto, come a ricordare che Nothing Outstanding non è bastato affatto a scaricare tutte le potenzialità creative di Alberto Mariotti e soci.
Abbiamo cercato di entrare anche noi in questo viaggio.
Innanzi tutto, perché la metafora del mare, del naufragio?
Deriva è metafora di smarrimento, condizione già affrontata in maniera meno evidente in Nothing Outstanding dove più che di smarrimento vero e proprio si parlava appunto di disorientamento, quindi in un certo senso Driftwood rappresenta il livello successivo e più profondo.
Nel comunicato che accompagna Driftwood si parla di 20 minuti di musica che narrano della “deriva, fisica ed interiore”. Condizione diffusa tra i giovani in questi anni, ma c’è qualcosa di particolare che vi ha spinto a farlo?
Nonostante abbia sempre immaginato il contrario più mi avvicino ai 30 anni e più certe convinzioni e valori si indeboliscono, mutano e assumono forme diverse ma ancora molto confuse, Driftwood è il risultato di questa precisa sensazione.
Ricerca sonora e ricerca interiore vanno di pari passo: quale vi ha convinto di più ad intraprendere questo viaggio?
Come sempre accade inizio a scrivere i testi delle mie canzoni soltanto nel momento in cui c’è un’idea musicale piuttosto chiara e quindi già quasi completamente sviluppata, questo perchè per quanto mi riguarda sono i suoni e le atmosfere ad ispirare le parole e non il contrario. Un metodo tutt’altro che cantautorale direi.
Durante l’ascolto si è portati a lasciarsi andare completamente, soprattutto nei momenti più sospesi. E’ quello che volevate ottenere?
Il nostro obiettivo era quello di trasportare l’ascoltatore su questa imbarcazione e di farlo oscillare seguendo i movimenti delle onde, di terrorizzarlo durante una tempesta improvvisa, di farlo addormentare dall’enorme stanchezza e di posarlo dolcemente su una riva sconosciuta come legno trasportato dalla corrente.
Un lavoro così concettuale vuole essere solo di passaggio o preludio a qualcosa che potremmo trovare nel prossimo disco?
Tutta la produzione Samuel Katarro / King of the Opera ha un forte contenuto concettuale ed esistenzialista solo che ad ogni lavoro è stato sviscerato in maniera molto differente. Potrei dire che mentre la forma (intesa come suoni, arrangiamenti, scelte musicali in genere) ha subito trasformazioni molto nette e a volte traumatiche, dal punto di vista contenutistico (le liriche) molti temi e sensazioni ricorrono quasi sempre.
Infine due curiosità: un colore per questo lavoro?
Mille sfumature tra bianco e azzurro.
E in quale momento della giornata dovremmo ascoltarlo?
Appena svegli o prima di addormentarsi.