Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: (da 1 a 5) |
12 Novembre 2013 | Turnstile | Catelebon.com | ![]() |
Adora i Pavement, ammira i Moomins ed è fissata con la morte. Potrebbe essere la vostra vecchia compagna di banco con problemi, e invece…
…Stiamo parlando di Cate Timothy, una cantautrice gallese che, dopo aver conquistato Gruff Rhys (Super Furry Animals) e i Manic Street Preachers (per i quali ha cantato ‘Four lonely roads’), ha lasciato la terra natia per stabilirsi a Los Angeles e sfornare un terzo disco tutto da spulciare: Mug Museum, per l’appunto.
L’idea di comporre un album dedicato alle piccole memorie del quotidiano (visualizzate come tazze su una mensola) è scaturita dalla recente perdita della nonna materna di Cate, evento che l’ha portata ad interrogarsi sul suo ruolo nella discendenza femminile della sua famiglia. Non si tratta quindi di un’opera deprimente e autocommiserante, ma piuttosto di un vero e proprio museo in cui “le relazioni affettive vengono osservate ed esaminate”, secondo le parole della cantante.
Ne consegue che non si tratta di una sequela di inni metalcore: da sempre accostata per le sue qualità vocali a Nico, stavolta Cate si crogiola in questa somiglianza realizzando pezzi più anni ’60 del solito; abbandona la vena psych-folk dei dischi precedenti a favore di un pop-rock molto Velvet Underground, riconoscibile soprattutto in ‘Duke‘. Ma il brano migliore rimane ‘Sister‘, con la sua chitarra approssimativa e una tastiera quasi goth che sembra debba andare avanti all’infinito. ‘Are you with me now‘, primo singolo estratto, è una ballata malinconica e un po’ sfatta che contrasta con l’eleganza standard di ‘I wish I knew‘, in cui Cate duetta con Mike Hardreas (Perfum Genius): i toni crooneristici e il testo la rendono una gran canzone, se non fosse per il ritornello smiagolante.
In ogni caso, Mug Museum spicca tra i precedenti lavori della Le Bon, in cui al massimo si trovavano 2 o3 pezzi decenti: qui ognuno ha la sua dignità, anche se in chiusura la situazione si fa più acquosa. In questo mare di vintage di classe, in cui più che una svirgolatura o uno hook irresistibile conta la visione d’insieme, verrebbe da citare un verso della title track: “I forget the detail/ but remember the warmth”.
[schema type=”review” name=”Cate Le Bon – Mug Museum” author=”Sara Manini” user_review=”4″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]