Snowbird – Moon

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Una ripresa al rallentatore su ciò che tiene stabile un’esistenza e un punto che ne segna la fine. Un’esperienza che si palesa in un sogno.

Se prima si parlava di gemelli, eccoci con una parentela di secondo grado della formazione Cocteau Twins. Il riferimento è ovviamente a Simon Raymonde, poli-strumentista della formazione sopraccitata e padre di questo progetto, Snowbird. I punti di contatto con i Cocteau sono rari; se si cercano delle convergenze, il riscontro avviene lì dove la classicità eterea e frastornata del dream-pop si distende su delle lievi piume cantautorali dalla coloritura rock. Ma le distanze si sentono, e le si assaporano in questo distacco.

Le pretese musicali del disco cadono al primo ascolto, a rimanere è qualcos’altro: un tocco delicato che addolcisce la notte. Lentamente. Non è la musica a risaltare, è la sua morbidezza, la sua cauta e avvolgente premura. È questo che fa di Moon un disco notturno, e si potrebbe azzardare ambient-pop. È un’impressione, questa, anche non condivisibile; è il modo in cui Moon ha deciso di parlarci. È il modo in cui abbiamo deciso di intenderlo: una ninna nanna di bianca malinconia.

Colpiscono per la loro bellezza Where Foxes Hide, dal ritornello circolare, vagamente bucolico, emotivamente delicato; e Amelia (nome fortunato della carriera di Raymonde, basti pensare alla sesta traccia di quel capolavoro che fu Treasure), che si spinge verso una chiusura nella quale il tempo si perde tra i riverberi della voce di Stephanie Dosen, vocalist molto presente anche a livello personale. La sua voce è vento. È quell’aria che si muove invisibilmente sotto la caduta di una piuma cercando di sospingerla. La piuma infine cadrà, finirà al suolo, silenziosamente, e concluderà un’altra storia che per un attimo sarà sembrata unica.

[schema type=”review” name=”Snowbird – Moon” author=”Giorgio Papitto” user_review=”3″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]