Queens Of The Stone Age @ Postepay Rock In Roma [Ippodromo delle Capannelle – Roma, 3 giugno 2014]

Queens Of The Stone Age

Attitudine e Visual:

Trasformazioni e alterazioni, metamorfosi che negli anni hanno sempre fatto parte del DNA dei Queens Of The Stone Age modificandone in parte le coordinate sonore, a partire dai ripetuti cambi di line up. Variazioni di rotta che non hanno mai scalfito l’integrità e la potenza di una band che, facendo perno sull’equilibrio emozionale e sulle allucinazioni visionarie del suo camaleontico Deus ex machina Josh Homme e sulla granitica e desertica proposta musicale, riesce sempre a esplodere nell’incisività risoluta e catartica di un live. E cosi…dopo la tappa Bolognese al Rock In Idro, i QOTSA approdano per la prima volta a Roma (e lo ricorda lo stesso Homme durante il live). L’apertura è affidata all’indie rock dei We Are Scientist che sembrano non scaldare il pubblico con la loro proposta musicale pulita, senza fronzoli ma poco incisiva, probabilmente poco adatta a un palco del genere e più consona per una dimensione da club. Con i QOTSA si percepisce subito tutto un altro mood, mentre si disegnano visioni geometriche volgendo lo sguardo a una scenografia mai eccessiva fatta di varie luci a intermittenza e si incastrano luci e ombre concrete e fittizie tra un brano e l’altro. C’è la classe oscura e calibrata del rosso dagli occhi di ghiaccio Josh Homme con la sua voce avvolgente e che a più riprese interagisce pacato col pubblico, ci sono i battiti corposi dell’ex Mars Volta John Theodore e le vibrazioni del bassista Mickey Shuman, le tastiere evanescenti di Dean Fertita e le chitarre dell’ex A Perfect Circle Troy Van Leeuwen, e regna infine sovrana la raffinatezza energica ed elegante al contempo, la robustezza possente e calibrata di sound dal tecnicismo perfetto sempre capace di penetrare gli animi dei presenti.

 

Audio:

I volumi partono un po’ in sordina, lavorando di sottrazione, per poi acquisire vigore ed energia secondo dopo secondo. Se a volte le linee di basso sembrano un po’ soffocate e poco percepibili e la voce di Homme solo inizialmente non arriva completamente piena e corposa, la potenza del live esplode comunque densa nel suo imponente magma sonoro.

 

Setlist:

È You Think I Ain’t Worth a Dollar, But I Feel Like a Millionaire dall’album “Songs for the Deaf” (2002) ad aprire le danze per poi lasciare lo spazio alla carica erosiva di No One Knows tra le ovazioni e le urla dei presenti. E ancora My God Is the Sun , Burn the Witch, Smooth Sailing, In My Head, Feel Good Hit of the Summer mentre Homme attua il suo “esperimento sociale” incitando il pubblico a sviscerare la lista illegale del testo senza però avere buona presa sullo stesso, The Lost Art of Keeping a Secret,…Like Clockwork in compagnia del pianoforte di Dean Fertita, If I Had a Tail. Dedicata alla memoria di Natasha Shneider musicista e amica della band che ha suonato con loro nel tour del 2005 è la convulsa Little Sister, mentre subito dopo Josh Homme chiede di illuminare il pubblico offrendo poi l’esibizione di Make It Wit Chu a tutte le “ladies” presenti. “L’ultima volta che sono stato qui avevo vent’anni. Ci ritorno adesso che sono totalmente… Sick Sick Sick!” e così che inizia, dopo Sat by the Ocean, la furia e l’adrenalina di un brano che come il caos fa muovere tutti. La conclusione è invece affidata a Better Living Through Chemistrye e
 Go With the Flow mentre il bis accoglie in sé The Vampyre of Time and Memory 
e la violenza e la follia di A Song for the Dead.

Queens Of The Stone Age

 Momento Migliore:

Sicuramente i brani che hanno fatto storia e che sembrano dare carica maggiore anche a Josh Homme e soci sul palco in aggiunta a quella sua voglia di giocare e di interagire col pubblico, che sembra tanto lontana nei modi quanto così vicina negli intenti.

 

Pubblico:

Circa ottomila spettatori, queste le stime, per un pubblico eterogeneo sotto tutti i punti di vista, da quello geografico a quello anagrafico, che si mescola e vive appieno le emozioni del live mentre i più impavidi si scatenano tra la folla.

 

Locura:

Un alternarsi sempre più serrato di affermazioni colorite tra un “daje rosso” e un “Porco Dio”, tra pogo e sbandamenti vari e una scarpa abbandonata a fine concerto sul prato che ben rappresenta il senso nascosto della locura.

Queens Of The Stone Age

Conclusioni:

Il concerto dura circa un’ora e mezza ed è questa forse l’unica possibile pecca di un live impeccabile dal suono potente e intelligente. Detrattori o meno della band, possibili opinioni sulla componente commerciale a parte, passato e presente del gruppo entrambi esclusi, i QOTSA live sanno il fatto loro, senza arie da “poser” mettendo sempre in primo piano la musica, il valore del suono con la consapevolezza raffinata degli arrangiamenti e la qualità sonora dei brani. Un moderno collettivo in perenne mutamento capace sempre di modellare sul palco visioni in bilico tra ipnosi e fragore.