Non ti divertire troppo: intervista a Renato Angelo Taddei e Federico Sardo.

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Non ti divertire troppo, è un libro sui ricordi, un libro sulla bellezza dell’adolescenza, sul come si stava bene, ma è anche il racconto di un genere e di quello che ci ha lasciato

Un libro che raccoglie, in 26 splendide testimonianze da parte di addetti al settore/musicisti, lo spirito che si respirava quando l’indie-rock o alternative, aveva ancora un significato portante nella crescita umana dei ragazzi che lo ascoltavano e che ne frequentavano la scena. Abbiamo intervistato gli autori del libro ed ecco cosa ne è venuto fuori, buona lettura.

1. Partiamo dalla genesi. Come avete scovato questi 26 eroi ? C’è stata ricerca, o vi siete affidati alle persone conosciute lungo la strada, in pieno DIY style?

Federico: Tendenzialmente sì, sono persone che conoscevamo già. Di base Renato ha messo insieme, partendo da noi quattro, un po’ di amici suoi. Uno di questi, Luca Benni di To Lose La Track, ci ha dato a sua volta una discreta mano nei reclutamenti. Ma di base non siamo stati molto a fare ricerca all’esterno – anche perché, insomma, un conto è chiedere a qualcuno con cui sei in confidenza, un conto è chiedere a degli sconosciuti (anche se magari li leggi e li stimi)“Ciao, siamo quattro pazzi che non conosci, ci manderesti un minimo di diecimila battute per un libro, gratis?”

Renato: L’idea mi girava in testa da un po’, non che avessi velleità editoriali, ma raccontare quell’epoca, che per me è stata, oltre che straordinaria dal punto di vista strettamente musicale, fondamentale per la mia crescita emotiva e per la definizione delle mie nevrosi incurabili. Volevamo raccontarla, però, sotto vari aspetti, con varie angolazioni, da chi c’era, a chi invece l’ha vissuta dopo, che secondo me è il punto di vista più importante, perchè avere 15 anni nel 1991 e innamorarsi di certa roba era semplicissimo, averne 15 nel 2005, beh, era più difficile, forse quasi impossibile. Chi ha scritto in questo libro è un nostro amico, molti lo sono da tanto tempo, molti lo sono diventati prestissimo.

2. Io la penso come Mike Watt. Specialmente oggi, a quasi quarant’anni dalla sua esplosione ‘ufficiale’ (Del Punk) – lasciamo stare per un momento ‘Pebbles’,’Nuggets’ e tutte quelle band geniali che facevano ‘Punk’ ma non lo sapevano -. Osservando il lascito di tutta quell’anarchia sbandierata ed ostentata, valutandone i risvolti sociali – La Thatcher come detonatore? ndr -, mi par di capire, che alla fine, se da un lato fornì un’efficientissima valvola di sfogo a tutti quelli che non credevano fosse possibile ostentare la propria natura selvaggia e risultare persino ‘cool’ con una spilla da balia infilata nel lobo destro, dall’altro stabilì lo status per il quale ‘da oggi’ in musica, non solo tutto era concesso, ma faceva addirittura fatturato. Ma oggi? introiettata la lezione, non trovate che quel concetto abbia aderito paurosamente al ‘Come As You Are’ di Cobainiana memoria? Lascia libera la tua arte, insomma.

Renato:Ti dirò, il punk e la sua evoluzione Americana, l’hardcore, sono stati fondamentali per la crescita della cultura “alternativa”, l’alternative aveva un significato ben preciso, essere diversi e alternativi a qualcosa, non meglio o peggio, alternativi. Il punk e il suo ideale programmatico, il DIY, il suonare anche essendone incapaci, ha generato un sistema nuovo di pensare la musica, liberare la propria urgenza, rendersi partecipi ad un momento creativo, libertà artistica, slegarsi da un sistema, da una corporazione e dal solito circuito “scrivi, vendi e vai in tour”, punk significa scrivere, registrare, non vendere e girare suonando in scantinati puzzolenti o capannoni dismessi, davanti a 300 o a due persone, e sbattersene completamente. Una nozione nuova per come si intendeva la musica, fu una rivoluzione, ma prima che si passasse alla cassa passò molto tempo.

3. L’indie fu il secondo passo, il completamento. Successe quando quell’attitudine splendida di fine Seventies si confrontò con il proprio lato culturale, rimanendone affascinata. Matteo Cortesi parla di purezza, ed ha ragione: quella era gente che scendeva a patti con la propria sensibilità, con i sensi di colpa, con il dolore. Penso a band come Husker Du, appunto, o Sonic Youth, erano veramente qualcosa d’irripetibile. Ma non sono completamente d’accordo sul discorso: ‘All’epoca c’erano i presupposti sociali e logistici per farlo’. Per come la vedo io, anche oggi ci sono i presupposti, anzi oggi è molto più facile riuscire a raggiungere il proprio obbiettivo, sempre che tu ne abbia uno valido. Tutto va di pari passo con l’innovazione, la distribuzione, e forse è vero che oggi Henry Rollins avrebbe venduto meno dischi, ma siamo così sicuri che sarebbe stato il gelataio più povero di tutti gli U.S.A?

Renato: La purezza è tutto, se oggi, come nel 1982, formi un gruppo per far soldi o poterci campare sei un mentecatto, secondo me, se ti manca la voglia di suonare la tua musica, ma ti poni un obbiettivo, mah, non fai musica, fai merce, e allora ti conviene fare il commercialista che guadagni di più. Con questo non voglio dire che poi un gruppo non ci possa campare di musica, ci manca pure, anzi, uno prima o poi ci deve sperare, ma non deve e non può essere un obbiettivo, ora come allora, non ci sono più i presupposti per poterci imbastire un programma. L’innovazione e la distribuzione non sono cambiate poi così tanto se ci pensi, è cambiata la fruizione, ma se vuoi un disco della flying Kids reconds devi scriverci o ordinare on line sul nostro catalogo, o andare al concerto di qualche nostro gruppo, così come succedeva per la sst, no? Certo che se li vuoi ascoltare, quello è un altro discorso, oggi tutto è per tutti, non sto a dilungarmi su quanto positivo, ma pericoloso sia questo discorso. Per concludere sulla tua ultima domanda, Henry Rollins probabilmente non venderebbe gelati, no, ma qualcuno di quello spessore non lo vedo all’orizzonte.

Federico: Guarda, noi prima ancora di fare libri abbiamo un’etichetta discografica, quindi non siamo proprio del tutto sfiduciati. È difficile, per mille motivi, ma se proprio non ci credessimo neanche un po’, se pensassimo che non ha nessun senso, non lo faremmo. Poi, certo, è irreale che il senso sia “il successo”, però possono esserci un sacco di soddisfazioni di diversa natura, ecco.

4. Sul significato verbale della parola Indie si potrebbe discutere per ore e giungere sempre alla solita soluzione: quella che vede l’utilizzo di comodo da parte delle Major di un termine ‘nobile’, fino a stuprarlo nel significato. Ma davvero vogliono farci credere che nei Killers o nei Kasabian, alberghino quelle pulsazioni vitali che sconvolsero un ventennio?

Federico: Secondo me non è neanche un discorso di major o non major. Indie ormai è una moda, un termine che viene usato proprio anche nelle riviste di moda, che indica anche una musica. Senza grossi limiti di suono o di intenti. Questa musica può piacere o non piacere, e può uscire su major ma anche su grosse etichette indipendenti. In moltissimi casi è musica piuttosto innocua, e quasi sempre molto diversa da quella di cui si parla nel libro.

Renato: Quando abbiamo dato il titolo al libro, ho voluto che nel sottotitolo ci fosse la parola “alternativa” e non “indie” perchè l’indie è proprio un’altra cosa anche rispetto anche a molti dei gruppi che raccontiamo, una grande quantità sono passati su major, “indie” era uno stato della mente, una filosofia di vita. Ora non è più nulla, è una marca di jeans attillati.

5. Mi ricordo il momento ‘buono’ di MTV come fosse ieri. Era passato il periodo in cui si buttavano i pomeriggi al campetto di calcio, e tutto girava attorno al fatto che avevamo scoperto quanto fosse bello sballarsi nel fine settimana. Stavamo sul divano, in quattro e guardavamo tutti quei video incredibili di band definite ‘Alternative’ mangiando merendine fino a sfondarci. Si, si compravano i dischi e si ascoltavano insieme. Nonostante tutto, molte di quelle band non soffrirono mai di ‘crisi da impatto mediatico’, e vendevano valanghe di compact. Vi ricordate ancora il rumore che faceva il mangianastri intento a riavvolgere una cassetta appena comprata? E quello del cd mentre si sgancia dal suo supporto? Io no, in nessuno dei due casi. Ma soprattutto che fine ha fatto il ‘Billy’ (Bevanda al gusto d’arancia scomparsa misteriosamente dal commercio)

Renato: Si, me li ricordo bene perchè ascolto ancora musica da entrambi i supporti. Il compact disc è ancora il mio supporto preferito, si ok l’oggetto vinile, ecc. ecc. ma io, che sono cresciuto nei ’90, il vinile non lo cagavo pari, lo usava mio papà per ascoltarsi la classica. Il Billy penso sia fuori produzione da ormai 20 anni o giù di li, però ecco, tra pane e nutella, Billy e Fiesta ne ho passati di anni a disfarmi sul divano!!

Federico: Ascolto tuttora cd molto spesso! Le cassette ogni tanto le compro (ci sono etichette che stampano solo in cassetta), ma più che altro per supportare, poi tendo a ascoltare i file. Riguardo al Billy non ho idea, ma posso dirti che Costacurta deve il suo soprannome alla marca di succo di frutta.

6. Quelle selvagge etichette, parlo di SST, Sub Pop et etc, portavano avanti uno stile che in molti casi era davvero ben definito. Erano i nostri talent scout e seguivamo ogni uscita, sicuri di trovare quel suono o quell’attitudine, erano una garanzia di standard eccelsi. Anche voi siete legati particolarmente a qualcuna di queste etichette? quanto erano utili quei foglietti esplicativi della SST in bianco e nero, quelli piegati all’interno dei cd, che illustravano il rimanente catalogo e le novità in uscita?

Renato: La SST mi ha formato completamente, ascoltavo l’hardcore americano prima ancora di sapere cosa fosse il punk inglese, per strane congiunzioni astrali, tutto quello che ascolto e che alle mie orecchie risulta bello ha dei suoni che provengono da li. Più che la Sub Pop io ero legato invece alla I.R.S. Che era una controllata Emi, se non sbaglio, però insomma, per me era comunque molto importante. Importante tanto quanto lo è stata la Domino e la Ebullition qualche anno dopo.

Federico: Io sono un po’ più giovane e per questo sto a metà tra i due tipi di fruizione: negli anni delle scoperte, alle medie e nei primi anni del liceo, se volevo ascoltare determinata musica la dovevo comprare per forza; ma già a 20 anni avevo a disposizione tutto lo scibile umano grazie a Internet. C’è da dire che non ho smesso di comprare un sacco di roba, anzi, la cosa è peggiorata.

7. Il terzo stadio del Punk: Il Grunge. Seattle, la più letterata fra le 69 grandi città Americane, accoglie tutta la teatralità insita nella noia di vivere, nel confronto con il quella tecnologia, ora computer, ora consolle, soprattutto televisione, che ammanta il pubblico Americano e non. La decadenza entra di prepotenza nel pomeriggio domestico, mediante quei tubi catodici che più tardi ospiteranno roba tipo ‘Ok il prezzo è giusto’. Lo fa senza fronzoli, utilizzando le gonnelline fumose dell’arci trasmesso video di ‘Smell Like Teen Spirt’, e le fattezze sovrannaturali di un Billy Corgan, spesso additato di essere stato il protagonista della sit com ‘Super Vicky’, erroneamente. per voi cosa è stato il Grunge? è mai esistito come genere?

Renato: io al grunge sono molto legato, e hai perfettamente ragione, è stata l’ultima “rivoluzione” musicale, questo libro, nelle pagine scritte da chi all’epoca era un ragazzetto, parla anche di questo, del svegliarsi la mattina e vedere un video dei Meat Puppets, o dei Nirvana, o dei Pavement, e tutto questo era merito del Grunge, della sua esplosione mediatica, “the years that punk broke” no? Rielaborando a distanza di tempo, dal punto di vista meramente musicale, il grunge fu davvero un fuoco di paglia, pochissimi gruppi si salvavano, cioè quelli messi sul carrozzone anche se facevano tutt’altra cosa, Vs, Vitalogy e No Code dei Pearl Jam, i Nirvana (che facevano qualcosa di assolutamente differente dal canonico grunge, dove per grunge intendiamo dell’heavy imbastardito con l’hardcore) gli Alice In Chains, gruppo enorme e non abbastanza considerato e gli Screaming Trees. Su b0lly ci sarebbe da scriverci un trattato, oggi è considerato da molti un povero pirla e gli Smashing Pumpkins dei derelitti inutili e dannosi, abbiamo pure litigato con qualche autore quando abbiamo scelto di inserirli, però io che nel 1993 avevo 17 anni me lo ricordo quando sentii “disarm” per la prima volta, ecco, non era una cosa normale, non lo era affatto, era il Morrissey della mia generazione.

Federico: Opinione mia personale: il grunge non mi piace granché. I Nirvana sono delle divinità dorate che stanno nell’empireo e giocano nel campionato dei più grandi di sempre, ma le altre band classiche del giro non mi hanno mai fatto impazzire particolarmente. Credo poi sia abbastanza uno di quei generi-calderone, definito più per tempo e luogo che per affinità stilistiche o di suono.

8. Perchè continuo ossessivamente ad associare ‘Losing My Religion’ dei Rem a ‘Ken Il Guerriero’: il famoso anime grazie al quale tutti hanno cercato, per un piccolo periodo della propria vita, di scoprire i punti di pressione mediante i quali far implodere amici e nemici? E’ una di quelle storie tipo:’Non si esce vivi dagli Ottanta?’.

Renato: Perchè l’ho scritto nel mio racconto e ti ho dato un imprinting? Forse solo perchè assieme a Smell Like Teen spirits è il pezzo più generazionale degli anni ’90, come generazionale fu Ken il Guerriero, il cartone, assieme ad akira, più punk di sempre.

Federico: Non si esce vivi dalle tv private.

9. Ricordo una vacanza in campeggio, tende, birra e Whisky: caldo asfissiante la mattina appena svegli e insolazioni mortali. Avevamo solo un cd,’Complete Discography’ dei Minor Threat, lo ascoltammo fino allo svenimento. Al ritorno volevamo tutti essere ‘Streight Edge’ e seguire Ray Cappo (Shelter) nella via del Bhagavat. Durò pochissimo, avevamo già passato troppo tempo in giro per concerti a bere shortini, e non si trattava di N.Y ma della riviera Romagnola. Qui, non c’era certo una mattanza di tossici paragonabile alla grande mela, la peggior cosa che ti potesse capitare era rischiare il soffocamento con una piadina crudo e fontina infilata in bocca troppo velocemente. Cosa ne pensate dell’argomento ‘Linea Diritta’.

Renato: Guarda, ho sempre schifato i Minor Threat, perchè da piccolo non stavo certo li ad approfondire ogni cosa che mi passasse per le orecchie, quindi quando sentii sta storia del “non poter bere, non poter scopare” non poterti divertire, insomma, mi misi subito di traverso, non ero certo un ragazzino morigerato e rifiutavo una tale assunzione di regole. Poi quando mi innamorai, perdutamente, dei Fugazi rividi un po’ le questioni, e alla fine Mackay non era poi sto stronzo.

Federico: Sono una delle persone più morigerate che tu possa incontrare (fino a poco fa almeno fumavo, da poco ho smesso pure quello) ma è assolutamente un discorso di inclinazioni personali, non di ideologia. Per me liberi tutti.

10. ‘Where Is My Mind’, dei Pixies, era il pezzo di chiusura di tutte le discoteche rock, almeno quelle nella provincia di Forlì-Cesena. A casa ascoltavo Surfer Rosa, e spesso mi son chiesto se ci fosse un nesso fra le rotondità perfette della tipa in copertina e la loro musica, che ho sempre reputato tra le esperienze più vicine al concetto di ‘magia’ mai provate. Era bello svenire in pista quando arrivava quel pezzo, con la testa al porchettaro, e la conta delle conquiste fatte in serata. Eravamo giovani e quella musica ci accompagnava davvero ovunque, di cosa possiamo dire lo stesso oggi?

Renato: c’è un sacco di musica bella in giro, magari il consumo ossessivo e ossessivamente veloce tende a farci disinnamorare presto di alcune nuove uscite, però se in una disco rock mi mettessero una “no future, no past” dei Cloud Nothing, o qualcosa dei Cheathas o dei The men, insomma, gradieri molto, magari non come quando mettevano “in bloom” dei nirvana, nel 1992, ma ci si sta comunque.

Federico: Oggi è un casino, nel senso che mi pare che l’appassionato-medio di musica ascolti davvero tutto. Dai Deafheaven a Kanye West, passando per Tim Hecker. Anche solo per farsi un’opinione. Potrei mettermi a sottolineare gli aspetti negativi di questo approccio, ma in realtà poi sono il primo a caderci.

11. La chiudo qui, chiedendovi se potreste inviarmi una copia del libro ed una foto autografata della cantante dei Cardigans o di Dolores O’Riordan, che userò come segnalibro. Nel caso non fosse possibile, mi accontento del Pdf che mi avete mandato. Con affetto. a.

Renato: Vieni a prendertela a qualche presentazione. Dolores O’Riordan no però, eh.

 

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