Santo Barbaro – Geografia Di Un Corpo

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Santo Barbaro ci aveva avvertito. Il sacro corpo barbaro non si addomestica e può prendere tantissime forme. Devi sentire la tempesta che cresce: era il 2012, l’album era ‘Navi‘ e lo avevano fatto in 2, Pier Alberto Valli e Franco Naddei, sulla carta I Santo Barbaro. Prima ancora c’era stato ‘Lorna‘, siamo nel 2010 e sono in 3; venivano dal ‘Mare Morto‘ del 2008, un disco suonato in 4. A volte può capitare di ascoltare una canzone e sentire che sta per succedere qualcosa. E può capitare anche il contrario: che qualcosa succeda, in un tempo non calcolabile ma che dà l’impressione di essere stato brevissimo, e prenda il corpo di 11 canzoni.

Geografia di un corpo, il nuovo disco dei Santo Barbaro in uscita l’11 novembre (ma già ascoltabile in streaming qua sopra) è quello che è venuto fuori dall’incontro di 9 musicisti, Pieralberto Valli (voce, chitarra, pianoforte) Franco Naddei (synth, elettronica), Michele Camorani (batteria), Matteo Teio Rosetti (batteria), Diego Sapignoli (percussioni), Lucia Centolani (percussioni), Francesco Tappi (basso), Roberto Villa (basso), Michele Bertoni (chitarra), comparsata di Giuseppe Righini (voce di In memoria di nessuno). Tornare alla radice di tutto, prima dell’estetica, prima della parola, prima del suono, dicono. Tutti chiusi per tre giorni in una stanza (al Cosabeat studio), senza vincoli, abbandonati gli ansiosi interrogativi e alcune storture estreme dei lavori precedenti, hanno fatto nascere un disco che vive e trasporta nell’animalità del suono e della parola, nell’istantanea espansione di vibranti stati dell’anima e del corpo. Se l’umanità sopravvivesse al giorno dell’apocalisse Geografia di un corpo sarebbe l’ideale colonna sonora di un mondo nuovo e antico insieme: piangeremmo forse ‘Lacrime di androide‘ dal sapore elettrico e urlante, come nel brano che apre il disco (“non mi trovo più, non mi cerco più, non ho mai amato e me ne guardo bene”), cammineremmo in mezzo alle macerie con ritmo ossessivo sulle note di ‘Pavlov‘ e ricominceremmo a respirare nell’atmosfera astrale post-rock di ‘Cosmonauta‘?

Serve certamente a questo punto una svolta mistica per restituire al corpo la sua vera religione, cioè se stesso. Le melodie apocalittiche di ‘La necessità di un’isola‘ e ‘Zolfo‘ sono come delle preghiere di un corpo monacale che si cala nella profondità della parola per ritrovare il suo mantra, il suo suono, per poi risalire alla verità pulsante di ‘Corpo non menti‘, praticamente niente, praticamente qui. Dove vai corpo, dove vai. Torna nella zona, ‘Finché c’è vita’ c’è vita. E poi si ricomincia a correre con la chitarra e il basso che vanno veloci in ‘Ora il presente‘, non c’è tempo solo quello del mondo. Non te la aspetti, e così bella, la ballata ‘Ti cammino dentro‘, che dura troppo poco, per lasciare spazio al cielo e alla terra della seconda ballata del disco: ‘Tra gli alberi‘. Dal fondo della valle l’atmosfera ancestrale e primitiva di ‘In memoria di nessuno‘ chiude Geografia di un corpo, un disco fatto di ossa, di muscoli e di respiro, di vuoti riempiti con parole e suoni potenti. Chiudetevi in una stanza e ascoltatelo. Se volete vedere chi sono gira in rete il documentario del videomaker Christoph Brehme che ha seguito i santi barbari durante le registrazioni.

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