Swervedriver – I Wasn’t Born To Lose You

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Scrivere degli Swervedriver è un immenso piacere. Ricordo ancora quando li ascoltai per la prima volta. Era l’anno di grazia 1991, in piena esplosione grunge. Frequentavo, per via dell’università, il quartiere San Lorenzo di Roma e passavo gran parte dei miei pomeriggi rovistando dischi nel mitico “Disfunzioni musicali”, in quel di via degli Etruschi. Grande negozio quello, inviavi la tua richiesta su un piccolo ascensorino (il magazzino era infatti situato al piano interrato) e poi aspettavi che questo risalisse. Si apriva lo sportellino e al suo interno poteva esserci il disco da te richiesto e agognato (e la tua giornata cambiava in sereno) oppure poteva risultare vuoto (e la tua giornata diveniva pessima).

Ero pazzo per il grunge avevo praticamente tutto ciò che era uscito in quel periodo. Poi un mio amico mi disse: guarda che c’è un gruppo inglese, di Oxford per la precisione, che seppellisce tutti i gruppetti grunge che ti ascolti. Si chiamano Swervedriver ed hanno appena pubblicato un disco che mi sta rovinando le orecchie da due settimane. Immediatamente feci la mia richiesta “sull’ascensore disfunsonico” e miracolosamente apparve “Rise”. La copertina mi affascinò: un sole abbagliante e luminoso quasi a descrivere l’intensità e la profondità della loro musica.

Il mio amico aveva ragione, Rise mi colpì moltissimo, anche se del grunge non aveva nulla, poteva considerarsi infatti più l’anello di congiunzione tra il rumorismo tipico di gruppi come Dinosaur Jr (ascoltate ad esempio “Pile – Up” che poteva benissimo essere inserita come outtake di You’re living all over me) e certo shoegaze inglese, (vedi ad esempio gruppi come Ride o My Bloody Valentine). Il tutto personalizzato con un aggressività e senso della melodia, ma soprattutto una qualità media di scrittura notevolmente elevata. Son Of Mustang Ford (una delle più bei pezzi degli anni 90) riassumeva in 4 minuti la ricetta della perfetta canzone di questo genere. Esattamente come si deve ottenere un buon negroni (1/3 di gin, 1/3 di campari ed 1/3 di vermut rosso) così gli Swervedriver hanno dosato in perfette parti uguali ciò che serve per raggiungere la perfezione sonica: 1/3 di melodia, 1/3 di aggressività ed il tutto affogato in un 1/3 di rumore/feedback.

I dischi successivi hanno ampliato l’orizzonte sonoro dei nostri, il successivo Mezcal Head del 1993 è un capolavoro, sui livelli di Rise e forse per certi versi superiore, sia per la maturità acquisita sul sapiente utilizzo dell’effettistica delle chitarre, che per la pulizia dei suoni, che, soprattutto, per la qualità media delle canzoni incredibilmente elevata. Su tutte vorrei citare “Duel”, in particolare nella sua magnifica parte centrale dove alle stratificazioni successive di due chitarre, fa seguito l’inserimento di un basso pulsante (con volume superiore al resto degli strumenti) insieme ad un drumming sincopato.

Discorso a parte i successivi Ejector Seat Reservation del 1995 e 99th Dream del 1999. Due bei dischi anche se inferiori (ma non di molto) ai primi due capolavori. 99th Dreams in particolare ha visto mutare notevolmente il sound dei nostri, abbandonando la loro aggressività fino ad arrivare ad un suono molto vicino a quello che proponevano i Teenage Fun Club in quegli anni e anticipando ciò che avrebbero proposto i Doves in album come The Last Broadcast.

It Wasn’t Born To Lose You esce dopo circa 16 anni dall’ultimo 99th Dreams. La sensazione è quella di ritrovare un vecchio amico che non vedi da anni. Lo trovi sostanzialmente uguale ma con qualche ruga in più e qualche capello bianco. Le canzoni pescano qua e là nell’intera discografia del gruppo. L’iniziale Autodidact (la Duel del 2015 ma senza possederne tuttavia l’impatto aggressivo / melodico), e For a Day Like Tomorrow sembrano uscite da Mezcal Head, mentre la bellissima Everso possiede l’energia di Ejector Seat ReservationEnglish Subtitles e Lone Star trovano riferimento nella Psichedelia misteriosa e avvolgente di 99th Dream. Nello specifico Lone Star ricorda i Verdena de Il Suicidio del Samurai. Mentre con Red Queen Arms Race il voltaggio energetico si sposta dalle parti di Rise. Un blues elettrico di quasi 6 minuti che ricorda addirittura alcune cose degli immensi Thee Hypnotics.

Un disco molto vario e piacevole che pur non presentando i picchi memorabili dei precedenti dischi, si mantiene mediamente su un livello compositivo molto elevato. Amico carissimo, mi ha fatto piacere rivederti in forma dopo 15 anni, non farmene passare altri 15 per riassaporare la tua preziosa compagnia.