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22 maggio 2015 | Edel | ash-official.com | ![]() |
Gli Ash sono risorti dalle proprie ceneri. Battute a parte, era dai tempi di “Meltdown” che la band irlandese non pubblicava un album di inediti. L’anno era il 2004. Oddio, non che la cosa fosse in cima alla lista dei desideri, e pensandoci bene la raccolta “A-Z Series“, composta da una valanga di singoli pubblicati mezzo decennio fa, poteva essere una buona pietra tombale sul loro discorso creativo, ma “Kablammo!” ha avuto la meglio. E con esso il Diavolo, che sembra aver rapito l’anima di questi bravi ragazzi – non più così “ragazzi” – relegandola in una gabbia infestata di rock giovanilista senza uscita, muscolare quanto basta per fare da sottofondo ad una reunion fra ex promesse del calcetto sotto casa; talvolta inframmezzato da ballate standard già pronte per sottolineare l’rvm di un talent-show canoro in cui la mamma e il babbo dicono al figlio: “Va’ e insegui il tuo sogno“. Sarà questione di stile. Sarà che qui c’è puzza di zolfo.
L’apertura è affidata alla grintosa “Cocoon“, un pezzo degno dei Pixies. Quelli di “Indie Cindy” però. Il resto è anche peggio. Ma ad un tratto, ecco che spunta fuori una “Evil Knievel” che tenta con successo il plagio di “Knights of Cydonia” dei Muse. E le quotazioni continuano a scendere. Dal punto di vista armonico-esecutivo, gli Ash sapranno anche il fatto loro, peccato che finiscano spesso col confezionare brani scialbi, fra cui spiccano in negativo la noiosa seduta al piano di “For the Eternity” e l’imbarazzante punk-rock di “Go! Fight! Win!“. Imbarazzante per la vacuità delle liriche e per la prevedibilità della struttura. In questo senso, la canzone emblema del disco. Tutto suonato e registrato bene, per carità. Ma la sensazione è che Tim Wheeler, il leader della band, sia un autore e un cantante incapace di lasciare un’impronta davvero personale sui suoi brani, divisi fra up-tempo che invitano a divertirsi e lenti che invitano ad essere tristi. Ciò non toglie che il disco sia prodotto bene. Ciò non toglie che qui ci sia il cosiddetto “mestiere”.
Bisogna tornare indietro fino a “Shining Light” e “Burn Baby Burn“, ad oggi i migliori singoli mai pubblicati dalla band, per ritrovare i volti, l’anima e le speranze di questi ex-ragazzi, schiavi della passata giovinezza. Il miglior complimento che si possa fare alla musica degli Ash è che somiglia a un quarantenne in perfetta forma, ma senza più lo spirito di un tempo. Passo e chiudo.