D’Angelo and The Vanguard @ Auditorium Parco della Musica – 6 luglio 2015

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Attitudine e Visual

Il solito spettacolo pirotecnico con base Auditorium. I concerti visti al Parco della Musica sono sempre di grande spessore, grandissimo, non deludono mai. Prima di tutto l’ambiente dall’architettura congeniale e matematica; poi la bellezza di tutti quei volti prima visti solo nei booklet di qualche disco, magari di vostro padre, che adesso si alternano ballando su un palco ampio e ricco di calore. Ieri è successa esattamente la stesa cosa di sempre. Con l’unica differenza che di personaggi come D’Angelo non se ne vedono passare spesso. La figura leggendaria del re della nuova soul non si concede che occasionalmente: erano passati all’incirca dieci anni dal suo ultimo concerto nel nostro caro Paese.

Da poco sono scoccate le nove, siamo lontani, troppo, dietro la tribuna. Ma sappiamo che non c’è nulla da temere, conosciamo come funzionano le cose all’Auditorium. Si offuscano le luci e giù, correndo per le scale, fino a superare la prima fila e affacciarsi sulla platea. Il pubblico inizia ad applaudire e i primi musicisti si fanno avanti: Chris Dave, Pino Palladino, Jesse Johnson, Isaiah Sharkey, Kendra Foster e Cleo “Pookie” Sample. Manca solo il Messia che con dieci secondi di scarto sale sul palco. Chitarre diamantate e brillanti, glitter in ogni dove, amplificatore Marshall al centro del palco, il batterista su un piano rialzato sfoggia dei piatti dalla struttura piramidale e, come una seducente Catwoman, Kendra  Foster getta, scuotendo ritmicamente il ventre, energia su ognuno di noi. Lo spettacolo inizia, D’Angelo scompare e riappare cambiandosi d’abito: cappelli blu, neri e bianchi, vestiti strappati e cappucci tirati su. Uno stile inconfondibile tanto quanto la sua musica.

Audio

Un groove così è raro. Il caldo dell’estate romana si tramuta nel caldo della musica soul. D’Angelo si abbandona a falsetti da strapparsi i capelli. Il basso è ricco e potete, il batterista è un portento, creativo e disciplinato. L’Auditorium sa benissimo come reggere tutta questa ricchezza di elementi sul suo palco, valorizzandone pienamente le potenzialità.

Setlist

Un concerto che prende il via con Ain’t That Easy e si conclude, al bis, con Untitled (How Does It Feel) è forse destinato a rimanere nella storia capitolina. Senza poi aggiungere Betray My Heart e Spanish Joint. Dopo di queste arriva uno dei momenti più attesi da tutti: D’Angelo intona Really Love e nessuno capisce più nulla. Si alza il pugno in alto e prende vita The Charade, il brano liricamente più impegnato di Black Messiah. Brown Sugar e subito dopo Sugah Daddy: qualcuno urla ciaone, gli altri chiudono gli occhi e ondeggiano col corpo. Finisce la prima parte del concerto. Tutti in attesa, vediamo i primi musicisti che si avvicinano al palco: è l’ora di Till It’s Done (Tutu). Una grandissima emozione ci abbraccia, nulla in confronto a quello che sta per accadere: basso e tastiere accennano a Untitled (How Does It Feel), il pubblica alza cori ripetuti e un po’ triste capisce che questo è il geniale congedo serale di un grandissimo artista. Piano piano tutti i musicisti scendono dal palco fino a rimanere solamente in due: Palladino e D’Angelo. Andati via anche loro, il pubblico si perde con gli occhi a ricercare qualsiasi cosa gli possa riportare in mente le emozioni vissute fino a poco prima.

Conclusione

La conclusione è chiara. Dove eravate ieri sera? Quale giustificazione avete ideato per la vostra  evidente assenza. D’Angelo era lì, con ironia e forza, a giocare con un pubblico visibilmente esaltato. Chi si teneva la testa fra le mani, chi urlava, e chi si girava dagli amici con due occhioni sgranati e pieni di lacrime: queste sono state le più belle testimonianze di un concerto incredibile. Erede di Prince o meno, D’Angelo sa costruire spettacoli dalle dinamiche meravigliose. Una jam immensa, grandi momenti d’improvvisazione, stacchi brillanti e musicisti di spessore. Non ci è voluto un minuto a far alzare in piedi il pubblico della Cavea.

Un grande ombrello dell’amore – come disse una volta Micah P. Hinson al Circolo degli Artisti – ci ha protetti da ogni male, e oggi come domani sappiamo che D’Angelo saprà sempre riempirci di note caldissime ogni volta che ne avremo bisogno. Un grande abbraccio a Pino Palladino, vero eroe della serata, il più acclamato della band, data la sua origine italiana.