“A Chance To Cut Is A Chance To Cure” è il quarto album dei Matmos, un duo di abili musicisti e ricercatori sonori formatosi nella fertile San Francisco di metà anni novanta. Stiamo parlando di un album singolare, capace di contribuire allo sviluppo di certe manipolazioni elettroniche del XXI secolo.
“A Chanche To Cut Is A Chance To Cure” è semplicemente la traduzione popolare di un antico trattato sonoro adattato all’era moderna. Infatti, alla base di tutto non c’è l’avanguardia ma il passato più rinnegato dalle critiche. In maniera superficiale si potrebbe definire il tutto come: “l’ironico epilogo della serie di raccolte “Artificial Intelligence” edite dal colosso Warp Records“. Oppure catalogarlo alla voce: “prosa organica degli studi matematici degli Autechre o dello stesso Aphex Twin“. In realtà, bisogna scavare ancor più nel passato.
Partiamo dunque dai concetti narrati in “L’arte dei Rumori” scritta dal futurista Luigi Russolo nel 1913, che per la prima volta e con totale insuccesso associò il concetto di musica a quello di rumore: fino ad approdare al vero “scandalo” datato 1948, quando il Francese Pierre Schaeffer coniò il termine “Musica Concreta”.
Per anni i fantasmi degli esperimenti concreti riecheggiarono fra quelle moderne composizioni capaci di andare oltre i limiti del pentagramma: ma nulla o quasi rimase nelle pagine di storia. Sebbene il concreto si basasse su suoni pre-esistenti, inaugurò uno dei primi modelli di manipolazione a fini compositivi e fu probabilmente la prima “scuola” di Musica Elettronica. Si cominciò a pensare alla musica per criteri astratti (armonia, contrappunto, notazione, dispositivi logici, etc.) piuttosto che rielaborarla concretamente attraverso il suono e l’ascolto, dando pieno e unico valore alla completezza dello stesso ed analizzandone le misure naturali quali: densità, l’inviluppo, l’attacco e la durata.
L’album, può decisamente incarnare l’anello mancante tra i concetti di Schaeffer, la musica da club e il matrimonio dissacrante tra i vecchi magnetofoni e gli inarrestabili computers. I Matmos hanno ammorbidito l’ascolto della scienza, e in un solo album hanno forgiato un’estetica che ha sedotto diversi personaggi del mondo “pop”. Basti pensare che pochi mesi dopo l’uscita di quest’opera, il duo di ricercatori si è trovato a comporre e decomporre le basi del capolavoro “Vespertine” di Bjork.
L’asso nella manica dell’album è stato sicuramente l’ambiente di registrazione. Una location che ha incuriosito gli ascoltatori, dai più scettici ai puristi: stiamo parlando infatti di uno studio allestito in una sala operatoria ospedaliera operativa. M.C. Schmidt e Drew Daniel si sono improvvisati medici legali dell’audio e assemblando l’intero disco mediante i samples delle amplificazioni biologiche; inerpicandosi tra screpolature, bisturi, e battute organiche.
Un lavoro di prim’ordine dal retroscena poco famigliare alle orecchie di tutti noi, ma con una morale celata dietro ogni singolo suono. Si parte da una Liposuzione orchestrata da risucchi, clarinetti, chitarre, batterie e gorgoglii, per passare ai ronzii, i battiti e i colloqui tra medico e paziente di “L.A.S.I.K.”. Terminologie mediche sui beats marcatamente Funky di “Spondee”e risposte agli impulsi elettrici della pelle nella pratica dell’agopuntura di “Ur tchun tan tse qi”. “For Felix (And All the Rats)” narra la schiavitù e il maltrattamento di una vita innocente. La prigionia di una cavia tra violini e frequenze quasi insopportabili – ma al contempo malinconiche e struggenti. Poi ancora dolci accordi, ed ancora cesoie e scricchiolii trattati come accordatissimi pianoforti.
Questo è “A Chance To Cut Is A Chance To Cure”, un disco reinterpretativo, tra medicina e pentagramma, tra ironia e beats cellulari. Un disco a cui il mondo del minimalismo moderno, esasperato e maltrattato in ogni sua forma deve tantissimo. La cosa più rara e sconcertante da dover ammettere è che un disco indiscutibilmente seminale come questo sia stato assemblato e prodotto nel vicinissimo 2001.
“MANY THANKS to: The doctors, patients and staff of the medical and scientific facilities who gave their time, trust and technical expertise…”