Silver Apples – Silver Apples

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Siamo sul finire della lunga estate del 1968, il mondo della musica è letteralmente sconvolto. Il tifone di Liverpool generato dal “White Album” va a braccetto con gli Stones di “Sympathy for the Devil” e fa il lavaggio del cervello ai giovani del vecchio continente, la California si inginocchia al Jim Morrison di “Waiting for the Sun”, tutta New York è inebriata dall’invasione dei Velvet Underground & Nico. La musica del Diavolo ha conquistato il mondo.

Ma è in un piccolo angolo di New York che i sogni si infrangono e si ricostruiscono. Gli Overland Stage Electric Band, un talentuoso gruppo di rockers che non sbarca il lunario si sciolgono. Il cantante Simeon Oliver Coxe III e il batterista Danny Taylor non gettano la spugna, ed entrano in laboratorio per un esperimento totalmente folle – e orfano di chitarre – composto mediante una batteria e un mucchio di spazzatura elettrica: ecco i Silver Apples.

Siamo ai limiti della struttura e dell’avanguardia, Cox sfoglia gli schemi degli improbabili macchinari dell’illustratore Inglese Heath Robinson e costruisce il “Simeon”: nientemeno che uno dei predecessori del Sintetizzatore. Un dispositivo elettronico alquanto ingombrante, composto da 13 oscillatori alimentati da Echoplexes e da pedali wah-wah con 86 controlli, manovrabili simultaneamente attraverso mani, gomiti, ginocchia e piedi. Il risultato è una sorta di one-man-band futuristico accompagnato da un percussionista.

Il concetto di rock band in un batter di ciglio viene nuovamente rivoluzionato, e nello stesso anno, attraverso un primordiale quattro-piste, viene registrato l’album omonimo che uscirà per la sconosciuta Kapp Records. Il mixaggio del disco pecca di pulizia sonora ma la strumentazione dell’epoca non era pronta a simili sperimentazioni – Oggigiorno ci sono produttori che dedicano buona parte del tempo a riprodurre il criticato fascino lo-fi di quei tempi passati, a farcire labili composizioni con gli antichi errori dei rumori di fondo, i fastidiosi white-noise e le incontrollabili casistiche di sovraincisione.

Un album nudo e crudo che si apre con “Oscillation”. Brano perfetto, claustrofobico e oppressivo, a cavallo fra il drumming cadenzato di Taylor ed una voce in perenne crescendo. La passione di “Seagreen Serenade” è raggelata da un flauto spettrale che fa da prologo ai battiti elettronici e psichedelici di “Lovefinger”. La vera avanguardia strutturale emerge sulle note di “Program”, un ensamble di percussioni, jingle pubblicitari ed estratti operistici, filtrati e riassemblati in maniera disorientante. I brani “Velvet Cave” e “Whirly Bird” possono indiscutibilmente essere considerati come assordanti punti di partenza del Kraut-Rock e della World-Music del successivo decennio. Ancora ritmi tribali indecifrabili accompagnano tutta “Dust”, mentre una wave “preveggente” alberga fra i solchi di “Misty Mountain”.

I Silver Apples non parlano più di arte demonica ma di mondi alieni e di futuro inesplorato.

Un disco che avrà un’influenza incalcolabile sull’era moderna, ciononostante i Silver Apples sono uno dei capitoli più ingiustamente dimenticati dai posteri. Sebbene risulti inesatto affermare che Cox e Taylor posseggano la paternità di certi suoni odierni, è doveroso sottolineare quanto il loro lavoro – seppur in maniera molto semplicistica e rudimentale – contenga quelle linee guida che nel tempo svilupparono stili come: new-wave, kraut-rock, drum’n’bass ed elettronica.

Un approccio simile, pochissimi anni dopo, giunse da San Francisco a firma Residents, ma si dovette attendere una decade – e l’avvento dei Suicide – per sdoganare e rendere finalmente onore al contributo musicale e scientifico dei Silver Apples.