Atlantide R-esiste

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Ieri mattina, venerdì 9 Ottobre 2015, Bologna ha perso un (altro) pezzetto di cuore. Atlantide è stata definitivamente sgomberata. Atlantide, fisicamente, era un cassero di porta Santo Stefano, e da 17 anni un centro sociale occupato e autogestito da diversi collettivi: punk e gay in primis. Invece, concettualmente, era tantissime cose. Uno dei pochi anelli del DIY rimasti in Italia, dove le label indipendenti della scena hardcore cittadina si radunavano per auto sostenersi. Uno spazio collettivo nel quale organizzare feste per finanziare progetti a sostegno di gay, lesbiche, trans, bisex discriminate o sfruttate in Italia e all’estero. Ma non solo: tantissimi concerti, meeting, presentazioni di libri e articoli, spazi concessi per ospitare persone e temi che il resto della città non vuole mettere in vetrina. Ovviamente la Bologna così tollerante e aperta non si è mai presa la briga di affrontare queste tematiche, Atlantide invece sì.

Atlantide non è un locale, e chi ci “lavora” non percepisce uno stipendio. Non viene pagato nemmeno chi ci suona o ci fa DJset. L’ingresso costa talvolta 3-4 euro e se dici in cassa che non hai abbastanza soldi perché vorresti comprarti un vinile allora entri gratis. Non è un centro sociale come tanti. Qualsiasi persona che magari adesso è a Berlino, Londra, Parigi o New York e che abbia transitato a Bologna negli ultimi 17 anni, – con la passione per la realtà punk/queer della città – vi parlerà di Atlantide col cuore in gola e negli occhi. Se nella decade post-2000 è esistito un luogo-concezione della terminologia “punk” in tutto il suo grande insieme – DIY, tape-trading, autofinanziamento, scambio di merchandise, prezzi “politici”, sostegno, vegetarianismo, straight-edge, solidarietà – quel luogo era Atlantide.

Un luogo che allo stesso tempo veniva frequentato da crust-anarcho-punk pieni di toppe sui giubbotti, favolose transessuali coloratissime e vestite Armani vintage, lesbiche e gay, tutti pieni di sorrisi, felicità e di voglia di combattere per i propri diritti.  Un luogo dove le borchie più appuntite si vestono di piume.

Ce n’erano tanti a Bologna nei primi anni del nuovo millennio – Livello57, Crash, TPO, vecchio Link, XM24. Ora molti non esistono più, molti altri si sono messi allo stesso livello di una classe politica votata al comizio, al partito dei benpensanti – i “compagni in cachemire”. E anche se erano anni che Atlantide risultava “sotto sfratto” – la famosa “ultima festa di Atlantide” sfoggiava lo slogan dei festival hardcore: “l’ultima volta non arriva mai” – il sindaco si era mostrato propositivo, e aveva concesso uno spazio alternativo al collettivo.

Poi una meschina rappresentate di quartiere ha fatto del “caso Atlantide” la sua personale crociata, raccogliendo firme e consensi per farla sgomberare. Come se il problema principale di ogni quartiere debba per forza essere legato alla propria immagine di copertina. Così, con le lezioni all’orizzonte, lo stesso sindaco abbraccia da una parte le comunità LGBT in Piazza Maggiore durante ogni Pride, mentre con pugnala una parte della stessa comunità e nega quello che ha promesso.

Per quanto riguarda la mia esperienza, non credo di aver mai trovato un altro luogo al mondo dove la coesione e il rispetto reciproco siano così radicati. La prima volta all’Atlantide fu coi Lacerater nel 2008. Io ero metallaro, venivo dal black metal ed ero cresciuto seguendo i fondamenti del tape-trading, del supporto ai concerti, e di una fratellanza rispettosa. Poi, come un fulmine a ciel sereno mi appassionai per il sottobosco hardcore bolognese – che è stato poi la mia personale rampa di lancio verso tutta la scena mondiale. I Lacerater facevano brutal-death e all’epoca era impensabile condividere il palco con band screamo, hardcore, power violence; eppure gli stili non sono così distanti fra loro. Ma in città, e in tutto il mondo, si stavano ricucendo insieme i tessuti dell’hardcore e del metal estremo. Si collaborava in nome delle ideologie fondamentali – certo, a fine anni ’90 non vedevi qualcuno con le maglie dei Darkthrone ai concerti dei Minor Threat, o con quelle dei Black Flag durante i live dei Marduk.

Ora invece Dismember e Tragedy vanno di pari passo. E’ incredibile il numero di band e persone che ha gravitato dentro quel luogo: Settlefish, Raein, La Quiete, Magdalene, Afraid!, Cannabis Corpse, Yage, Black Breath, Yaphet Kotto, Torche Laghetto, Marnero, Kontatto, Horror Vacui. Senza contare le label come Agipunk e SangueDischi in primis. Le collaborazioni coi ragazzi dell’Handmade festival e tante altre realtà indie e DIY non necessariamente hardcore nello stile ma punk nell’anima.

Atlantide è stata cornice di feste meravigliose, dove la techno andava a braccetto con la Carrà, con Madonna, con Beyoncé, con La Roux, coi New Order e Amanda Lear. le feste queer di autofinanziamento erano lo sfondo per ritrovarsi di notte con quei duecento amici di sempre e conoscerne altrettanti ogni volta. Il termine “festa” nella più positiva accezione che esista: dove le mani si alzano solo per toccare altre mani o per accarezzare qualcuno di più alto; dove le spalle si agitano solo su quelle altrui per sdraiarsi l’uno sull’altro; dove le urla e le lacrime sono quelle di gioia. E’ impossibile parlare solo dell’Atlantide punk o solo dell’Atlantide queer perché Atlantide è entrambe le cose.
Per una visione molto più dettagliata dello spazio musicale vi rimando a questo articolo, mentre per un racconto sul lato queer vissuto davvero dall’interno vi rimando a quest’altro.

Testo a cura di: uno come tanti altri che ama mettersi il chiodo borchiato e una valanga di trucco, borderline come tanti altri che sono stati seduti sui gradoni di Atlantide.