Deerhunter – Fading Frontier

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I Deerhunter sono uno di quei gruppi intorno ai quali, sin dai tempi di Microcastle, gravita un’aura iperbolica di ammirazione e curiosità che trova la sua fonte in Bradford Cox e nel suo tanto cupo quanto affascinante mondo di arte ed emarginazione. Anticipato da una mappa concettuale interattiva, che avrebbe l’obiettivo di chiarirne le fonti d’ispirazione – tra le quali i concittadini R.E.M. -, Fading frontier (4AD) è l’ultima fatica del gruppo con base ad Atlanta.

Già da -“All the Same”- si avverte una paradossale dichiarazione d’intenti che conferma una realtà in mutamento. Il disco, infatti, è il più solare e luminoso del gruppo sin dai tempi del favoloso Halcyon Digest. Sebbene la tematica dell’esclusione e dell’essere “diverso” sia ancora preponderante nei testi, stavolta l’approccio appare volutamente più consapevole e speranzoso: il fatto che Cox sia sopravvissuto a un terribile incidente stradale può aver indubbiamente influito a cambiarne visione della vita. “Living my Life” si pone come il manifesto di questa nuova consapevolezza; costruita su una già rodata base eterea, viene impreziosita da chitarre e synth a metà strada tra Beach House e The War on Drugs. “Breaker”, invece, si apre a sonorità Jingle pop che ricordano Real Estate e il Mac Demarco di “Salad Days”, sebbene il paragone andrebbe fatto al contrario. “Duplex Planet”, ci riporta all’universo sonoro originale dei nostri – sembrerebbe che “Basement Scene” abbia trovato il suo corrispettivo luminescente. Tanto per far capire con quale sicurezza si spazia da un’influenza all’altra, in “Leather and Woods” troviamo sonorità ambient e sintetiche che formano una melodia sorniona capace di contenere energia positiva quasi fosse un mantra (“I believe we can live again”). Il disco riprende foga con “Snakeskin”, uno dei pezzi più riusciti, costruito su cambi di ritmo che ne fanno una rivisitazione di “Beck” in chiave folk/noise.

Proprio come un serpente che ha cambiato pelle, stavolta i Deerhunter si sono liberati coraggiosamente di quell’involucro protettivo, ma allo stesso tempo asfissiante, che ha permesso loro di diventare uno dei gruppi cardine dell’ecosistema indie, per assumere sembianze più solari pur mantenendo la capacità di incantare. Bradford Cox continua ad essere e a sentirsi uno strambo (weird) ed un emarginato, ma ha dimostrato di saper aggiungere un nuovo valido capitolo alla sua storia e a quella dei Deerhunter.