Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: (da 1 a 5) |
23 ottobre 2015 | Urtovox Prisoner Records |
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In una piccola osteria di provincia, Marco Iacampo cerca con modi gentili e accento veneto di catturare l’attenzione di chi è seduto ai tavoli. Fa qualche battuta divertente. Sarebbe qui per suonare alcune canzoni nuove tratte dall’ultimo disco, “Flores” (Urtovox, The Prisoner Records), insieme a qualche brano del suo disco precedente “Valetudo” del 2012. Luogo raccolto, l’orario dell’aperitivo gioca (apparentemente) a sfavore. Apparentemente: perché è nelle situazioni meno consuete che, chi fa attenzione, può notare meglio le qualità di un artista – che in quel momento è, a rigor di logica, un artista qualunque, capitato qui, una domenica sera.
Se consideriamo che in Italia: 1) il senso del mestiere va scomparendo e 2) la musica non è più un “fattore” sociale, di moda, popolare o altro, ma qualcosa regolato da leggi misteriose che ci costringono verso atti di fede individuali, capiremo il motivo per il quale ad un concerto fatto di chitarra e voce, alcune persone vengono rapite, altre continuano a chiacchierare, altre ancora non si preoccupano più di tanto di sentire cosa sta volando nell’aria. Tant’è. La cosa divertente è che tutto questo, spesso, non ha nulla a che fare con la bontà della proposta in questione, lasciando emergere una certa perplessità da parte di chi non manca nel seguire avidamente i virtuosi principi base del: “programma situazionista internazionale “. Insomma, a volte, non cogliere il senso della situazione diventa un peccato non giustificabile da quello spritz.
Quindi, due cose. La prima: Marco Iacampo è un artista paziente. Paziente nei gesti, nelle espressioni, e nel modo di stare – che sono poi gli ingredienti delle sue canzoni. La seconda: canta e suona formule magiche – come recita il verso iniziale di “Santa Clara”, uno dei brani più intensi del suo nuovo lavoro –, e allora tutti i santi aiutano, soprattutto aiutano i folli e i pittori elementari. Facciamo due passi nei paesaggi di “Flores”, disco che segna un passaggio particolare nella carriera di Iacampo, che dopo il successo di “Valetudo” e molti anni di musica alle spalle – prima con gli Elle poi come GoodMorningBoy – appare più consapevole e per questo più libero di stare nel flusso e nell’essenza delle parole, sostenendole con ritmiche calde e accenti folk dal sapore mediterraneo – al suo fianco il violoncello di Enrico Milani, il sax di Paolo Lucchi con il contributo di Leziero Rescigno, Daouda Diabate e Nicola Mestriner. Perché la materia di cui sono fatte le canzoni di Iacampo è e resta corporea, come lo sono gli elementi della natura: il fuoco, la terra, ed in particolare l’acqua. Quest’ultimo, tema ricorrente in almeno tre tracce del disco: dal singolo “Palafitta” – che inizia con l’immagine vivissima di: “un corpo che placa un altro corpo” –, a “Come una goccia” fino a uno dei brani più limpidi del disco, quel “Come una roccia”, dedicato a chi non teme il tempo, il mondo, lasciando che tutto rimagna esattamente com’è mentre tutto impercettibilmente cambia. La natura e le mille forme dell’amore, in senso agnostico, si fondono continuamente, mentre la domanda resta aperta. Non è vero che l’essenziale è invisibile agli occhi se il pittore lo sa dipingere bene, fuori da ogni concetto, e se gli occhi di chi guarda sono ben aperti.