All’anagrafe sono Dario, Simone, Pietro, Diego e Luigi, ma in terra etrusca sono Gonzo’s, il Muto, Piro, Woz e Roccia.
Loro sono gli Etruschi from Lakota, rock band pisana che dove passa lascia il segno. Cinque ragazzi cresciuti a biada e rock, che quando salgono sul palco non ce n’è per nessuno.
Rocklab è andata a fotografarli durante la tappa torinese del tour di “Non ci resta che ridere“, uscito esattamente un anno fa e prodotto da Phonarchia Dischi — che li sta portando in giro per tutto il Paese. Torino per gli Etruschi è un po’ una seconda casa, visto il cospicuo pubblico ormai conquistato grazie ai numerosi concerti già tenuti in zona e alla vittoria del Premio Buscaglione di due anni fa.
Gli Etruschi arrivano al Samo e già si sentono a casa. Scaricano gli strumenti dal loro pulmino verde smeraldo per passare subito al souncheck: parte Roccia con la cassa della batteria, a seguire il basso di Woz, Simone alla chitarra elettrica e al banjo e Piro alla chitarra acustica. A finire c’è la voce del frontman e già tutto il locale vibra per le sue corde vocali.
Per il check sono serissimi e noi li guardiamo con lo stesso silenzio quasi a non voler disturbare il loro rituale.
Gli Etruschi si conoscono da una vita, cresciuti tra i boschi e i soffioni della Val di Cecina. Suonano insieme da anni e il loro legame si percepisce: tra battute, prese di culo reciproche accompagnate però dalla indiscussa serietà che li contraddistingue quando inizia lo show. Hanno un solo obiettivo: spaccare il culo sul palco.
Calano le luci, la gente comincia a riempire il Samo e ad attenderli. Delle grida dal fondo annunciano l’arrivo dei Due per Uno Cinque, gruppo di attori teatrali che inscenano il viaggio di Dante e Virgilio all’inferno.
È poi la volta degli zyP, giovanissimo gruppo torinese che nonostante l’età sembra promettere bene.
Alle 23 salgono sul palco gli Etruschi. Il loro live è esplosivo, non ci sono altri termini per definirlo: Dario è un vero animale da palcoscenico, salta, canta, balla (o almeno ci prova!), interagisce con il pubblico, scende dal palco e va a pogare con tutti. Sale sulla cassa per distribuire gli adesivi del gruppo, rischia pure di cadere scendendo dalla cassa ma non gli importa, la missione adesivi è stata compiuta. Simone, Piro, Woz e Roccia lo seguono con i propri strumenti, carichissimi e “belli garosi” come direbbero loro con accento pisano.
”Il politico alternativo” “Mezzogiorno di grano“, “Porfirio”, “I nipoti di Pablo” “Se la mia pelle vuoi”: gli Etruschi non fanno scorta di energia sul palco, sono sudati fradici ma se ne fregano, vanno avanti senza cedere un attimo, per quasi due ore. È poi la volta di “Cornflakes”, il brano che – come dice Dario – li renderà famosi, chiedendo comunque come si faccia a diventarlo. E tutti lo cantano, forse la strada è quella giusta…
Poi arriva il momento più atteso, quello sacrale. Nel bel mezzo di “Teodoro e Mansueto”, l’inno ufficiale che identifica il culto della band per Paul Gascoigne, arriva Papa Woz a recitare il suo angelus, benedicendo il pubblico; senza dimenticare di rivolgere un pensiero al Family Day, con una vera e propria richiesta: “Popolo del Family Day, portatemi la sindone!”
E giù delirio fino alla fine. Con tanto di stage diving finale del cantante.
Sono le 3 e si spengono le luci al Samo. Andiamo via, domani gli Etruschi from Lakota ripartono per Livorno, per un nuovo concerto. Stanchi, ma contenti. E con qualche loro adesivo attaccato ovunque.
Qui la recensione dell’album: “Non ci resta che ridere”