Roo Panes – Paperweights

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Dal 4 marzo come sottofondo alle prime tiepidi giornate primaverili e alle serate estive potremo contare su Roo Panes. Il giovane folksinger britannico classe ’88 ci regala un altro bel lavoro dopo Little Giant del 2014. Il nuovo Paperweights è composto da dieci brani dall’animo gentile caratterizzati da notevoli armonie di chitarra unite ad una sezione di archi e fiati molto interessante. Il ragazzo sa il fatto suo; ha preso i grandi nomi del passato – Neil Young, quello acustico, Nick Drake, Tim e Jeff Buckley –, e quelli odierni – Iron & the Wine, Bon Iver, The Tallest Man On Earth – unendoli in un vortice di cantautorato folk acustico che sta guadagnando spazio nel panorama musicale odierno.

Gli ingredienti sono acustici. Non c’è spazio per sperimentazioni, effetti particolari, influenze indie o sintetizzatori. L’approccio è puro e semplice, chitarra e voce, qualche coro, archi, fiati e stop. Non serve altro per fare un buon disco. Roo Panes, e più in generale il cantautorato folk acustico, o si ama o si odia. Un album di breve durata che lascerà nei cuori degli appassionati di genere il desiderio sfrenato di una bonus track, di un contenuto extra: mentre “Little Giant” diventerà un calmante a questa mancanza. Chi invece non ama il genere, arriverà a fine corsa ancora convinto delle proprie posizioni, salvo poi farsi sorprendere nel buio della propria stanzetta mentre, cuffie nelle orecchie, si bea della sezione d’archi presente in “Lullaby Love“.

Se con “Stay With Me“, brano di apertura dell’album, i toni si fanno più ritmati e l’atmosfera richiama al sorgere del sole «You take me back to the morning light», con “Corner of My Eyes” e “Paperweights” l’aria che si respira torna ad essere più malinconica, con gli archi che s’inseriscono come un groppo in gola lasciando poi ampio respiro ai cori. Tra le due troviamo “The Original” che ben si integra con il suo andamento vivace – uno dei brani più riusciti di Paperweights –, qualcosa da ascoltare in macchina d’estate con un braccio fuori dal finestrino.

Summer Thunder” è l’unica vera ballad dell’album. Un gioiellino inserito verso la fine, dove i fiati completano i silenzi, la chitarra si rifà strumming, e la voce si colloca a metà fra parlato e cantato.
Chiude “Where I Want To Go“, che raccoglie anche la ghost track. Questi due brani in uno sono musicalmente speculari: se nella prima parte i ritmi a base di fiati ed archi sono più scanzonati, nella seconda, assistiamo ad una sorta di session dal vivo – voci di fondo e una registrazione diversa dai brani precedenti –, per voce e chitarra; brano scarno, spoglio, che però trova la sua forza nella semplicità.

Del resto, quando Andrew canta: «Well I’ve found what I need, in your arms, in your arms, what I need. And there’s nothing for me, outside your arms, outside your arms, nothing for me», rende bene l’idea di fondo che caratterizza l’album. Quel senso di protezione, di dolcezza che accompagna tutti i brani. Paperweights si apprezza in pieno dopo tre, quattro ascolti, quando la struttura e la successione dei brani diventa quasi naturale all’orecchio. L’alternarsi di brani ritmati ad altri più lenti, alcuni più complessi ed altri più scarni, fanno dell’album un buonissimo lavoro, mai banale e non eccessivamente ripetitivo considerando gli ingredienti che lo compongono. Vista la qualità dell’album, è inevitabile la curiosità di vederlo live per capire quale sarà l’approccio ai brani: se più diretto, solo chitarra e voce, o con archi e fiati ad arricchirli.

About Massimiliano Barulli

Studente di Etnomusicologia @ La Sapienza, Roma. Mi interesso di tutto ciò che ruota intorno alla Musica e di tutto ciò che è Musica. Pop, Rock, Blues, Indie, World Music e contaminazioni.