Mèsico – A Long Betrayal

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Un lungo tradimento. Questa la traduzione del titolo dell’esordio solista di Mèsico, nome d’arte di Paolo Mazzacani, già nel duo elettronico Tempelhof. E viene da chiedersi: cos’è che viene tradito? Soprattutto l’emozione, a giudicare da queste nove tracce. Sette tracce più due brevi frammenti, ad essere precisi. Un’emozione sussurrata in punta di cuore. Ma oltre il dato emotivo, altri tradimenti ci verranno suggeriti dalla voce calda di questo menestrello sul mare di nebbia. Il tradimento delle nostre speranze, della nostra stessa libertà, o forse della gabbia che ci eravamo costruiti da soli. Perché tradimento può anche essere sinonimo di cambiamento, oppure, filosofeggiando, si può tradire per tornare ad essere ciò che saremmo dovuti diventare. Del resto, era Manuel Agnelli che cantava “se vuoi indietro la tua vita, devi anche tradire”, nel brano “È la fine la più importante”, tratto dal sopravvalutato, a mio modesto parere, “Ballate per piccole iene”.

Ebbene, ce la farà il nostro menestrello a cambiare, tradendo tutto e tutti, tranne sé stesso, per ritrovare la pace? Non possiamo saperlo, però possiamo ascoltare questo delicato, delicatissimo, davvero volatile album, in cui Mazzacani traduce i nostri sogni in arpeggi acustici, trascrivendoli in liriche affidate all’idioma inglese. Già perché tradire, dizionario di latino alla mano, può anche voler dire “tradurre”.
Un disco esile, molto breve a dispetto del titolo, e bellissimo, questo “A Long Betrayal”. La voce calda di Mazzacani è il soffio che lo ravviva. Una voce tutt’altro che flebile, intendiamoci, ma anzi imperiosa, perlomeno in potenza. Così si intuisce. A fare la differenza, però, è la capacità di gestirsi, di misurarsi, di interpretare. Potenza e controllo, in poche parole. Gli strumenti base dell’artigianato canoro, dopo l’anima ovviamente.

“Emptyness is a warm gun”, in questo senso, è un viatico più che sufficiente, ma non certo esaustivo. Voce e Chitarra ci fanno da guide. E un folk agrodolce, soffuso, è la landa che sono chiamati ad attraversare gli ascoltatori. Prestate attenzione alla tracklist, che titolo dopo titolo sembra delineare la traiettoria multiforme (marina, nevosa, nebulosa) di un racconto esistenziale. Mèsico come Messico.  E come una saga familiare da scorgere appena, scostando le tendine di una nota biografica, sulla pagina ufficiale del nostro. Ma che suggerisce un’epopea, un romanzo, e mondi lontani, figli e insieme orfani dello stesso destino.

Potete ascoltarlo davanti al caminetto, al crepitare del tramonto. Potete ascoltarlo sull’autobus, se siete amanti delle proiezioni astrali. Potete ascoltarlo dovunque, col corpo da una parte e lo spirito altrove. L’importante è ascoltarlo. Al suo interno c’è passione, ci sono delle storie, e c’è quel po’ di mistero, quel po’ di poesia, che troppo spesso la nostra musica intimista, pur cercandoli, non riesce a trovare. Il suo segreto? Vallo a scoprire. Intanto avanziamo un’ipotesi: il Canto.