Plague Vendor – Bloodsweat

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Brandon, fin dalla tenera età è sempre stato ossessionato da qualcuno o qualcosa – il fatto non stupisca visto che è nipote di un predicatore, che era figlio di un predicatore, anch’egli figlio di un predicatore. Quale sia l’ossessione odierna di Brandon Blaine, cantante dei Plague Vendor, è fin troppo scontato: l’oscurità. Ad assicurarcelo c’è la palpabile tensione percepibile per tutta la durata del primo singolo estratto da questo secondo bellissimo Bloodsweat. “Jezebel” è un agglomerato tellurico di Post-Punk dalle tinte Dark, che ben si sposa con la vita di quella Jezebel, moglie di Acab e grande peccatrice, che nell’Antico Testamento finì per essere divorata dai cani. Tutto sembrerebbe tornare.

Facciamo però un passo indietro. Il quartetto, emerso magicamente dalle ombre serali di Whittier (California), di gavetta, al netto dei due soli dischi in sette anni, ne ha fatta – l’esordio “Free To Eat” risale ad appena due anni fa (2014). Memorabili sono infatti i racconti dei loro concerti nel sud dello stato, performance live capaci di far registrare il sold out sistematico. Il perché è probabilmente da ricondurre a quell’approccio selvaggio alla materia Dark-Punk. Per rendervi bene l’idea, immaginate un tappeto sonoro sorretto da possenti ed oscure note di basso, su cui intervengono freneticamente delle Savages che al posto dell’asse Siouxsie/Joy Division hanno scelto come influenza portante i Gun Club – “Anchor to Ankles“. E ci sarete vicini. Ma non abbastanza. Infatti, quando meno te l’aspetti, salta fuori il Blues. “Ox Blood” e “Chopper” rappresentano un furibondo incrocio fra il Jack White più sporco, quello degli esordi, ed i Black Keys. Strano? No. Bellissimo.

Lui, scatenato frontman dal giubbotto di pelle à la Mike Ness (Social Distortion), loro, la band, un grappolo di demoni usciti fuori da chissà quale inferno. Chiudono alla maniera del Nick Cave dei Birthday Party (“Got It Bad“). Direi che può bastare per un dieci e lode.