Sophia – As We Make Our Way (Unknown Harbours)

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Camminando in punta di piedi tra le onde di un mare sonoro che fluttua lento e vivo tra gli abissi del suono stesso, dopo un silenzio durato quasi sette anni, ritorna Robin Proper-Sheppard con i suoi Sophia. Lo  fa “nuotando” sulla spuma bianca generata da una creatura delicata, posandosi sugli scogli scabri e vivi prodotti da un songwriting dolente e autentico.

In As We Make Our Way (Unknown Harbours), così come nelle precedenti produzioni, è proprio la forza delle parole a lacerare l’anima, a creare uno squarcio incisivo e netto tra le note che ondeggiano fra morbidezze e asprezze stilistiche. Permane dunque la cifra identitaria dei Sophia, quella che scorge nei contenuti il suo significato più profondo e che scava, con l’ausilio di oceani acustici e maree di tastiere, nelle immensità della psiche. As We Make Our Way (Unknown Harbours) è tuttavia anche qualcosa di mutevole, di diverso nella sua apertura verso torrenti di synth, nella condivisione di paure e incertezze, mentre un bagliore di positività, netto e vivido, si fa strada nella tristezza dei suoi contorni e nel rimpianto celato delle sue visioni.

La poesia strumentale di un pianoforte (Unknown Harbours) naufraga attraverso l’ignoto, tra gli incanti e le tempeste marine di “Resisting” e “It’s Easy To Be Lonely”. “The Drifter” è come il canto di una sirena vagabonda adagiata sulla riva, mentre “Don’t Ask” cicatrizza lo scorrere degli eventi tra le parole del ritornello:

“Everybody is running for something”

Una batteria marziale danza nella luminosità ritmica di “Blame”, mentre anime sintetiche vagano in “You Say It’s Alright” e il sole della West Coast sembra tangibilmente lambire il brano “California”. In “St. Tropez/ The Hustle” esplode un vero vortice di elettricità, un eco vago e lontano che sembra volgere lo sguardo ai God Machine, per poi adagiarsi sulla dolce e struggente “Baby, Hold On”.

Questo nuovo lavoro della band è come l’ancora di una nave attraccata su universi lontani, ma già pronta a salpare verso mete e lidi ancora sconosciuti. In questa traversata di suoni e parole ci sono i vecchi Sophia, ma si scorgono anche nuove strade intraprese e futuri possibili. E c’è infine l’emozione, quella che sanguina all’ascolto e che lascia il posto alla libertà del pianto, perché in fondo:

“We could have cried all day, And yeah some days I suppose we did”.