Krano – Requiescat in Plavem

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La Maple Death Records – etichetta canadese con base in quel di Bologna – sperimenta fiumi dialettali affidandosi al debutto solista di Krano (Marco Spigariol), uomo in bianco e nero, dalle mani tremolanti di fuzz e dalle gambe imbevute di folk e prosecco. Il vecchio chitarrista dei Vermillion Sands, acceso il suo Tascam 388, si perde per i racconti che affluiscono alla grande storia del Piave: amori, amicizie, guerre e soldi, così come le colline del Valdobbiadene ne raccontano. Tutto, come l’acqua in passato dettò, si lascia afferrare velocemente e sommariamente: lo stretto dialetto veneto va giù, sfugge, saltella per una musicalità decisamente peculiare e il folk strampalato e ubriaco di Krano prova a catturarlo. Un raccolto: la mietitura della lingua e delle storie custodite. In Canada, in realtà, quel che da noi è semplicemente la raccolta dei cereali, rappresenta un pietra miliare della cultura folk, Harvest. E quello a Neil Young è il primo accostamento che viene spontaneo quando Mi e Ti si apre tra l’acustica e l’armonica a bocca.

C’è qualcosa di diverso in Requiescat in Plavem rispetto a tutto il restante cantautorato dialettale italiano. Abbiamo sì compositori di brillante caratura come Cesare Basile e Alessio Bondì – autore del recentissimo nonché acclamato Sfardo. Tuttavia, Krano non sembra rientrare nella categoria dei possibili vincitori della preziosa targa Tenco, assegnata l’anno scorso a Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più. La motivazione è che, come evidente in brani come Amighi, il nostro esordiente non fa del dialetto – e tanto meno dell’elemento cantautoriale – il suo fulcro musicale, sebbene questo sia l’elemento da cui l’album è scaturito e che ha dettato l’esigenza compositiva. Ascoltare R.I.P. è come mettere un inglese davanti a quella meravigliosa puntata dei Griffin in cui Bob Dylan, Tom Waits, Popeye e Muhammad Ali  provano a dare un senso alla loro lingua (senza riuscirci, evidentemente).     

Krano è piuttosto un Bruce Springsteen che esordisce con Nebraska, un Bonnie Prince Billy (il primo o quello dei Palace Brothers) dopo due cicchetti assieme a Jim Jarmusch. Krano è l’artista scelto da Jonathan Clancy per rappresentare un’etichetta canadese espatriata; scrive, canta e vive in dialetto veneto, e nella copertina del disco se ne sta come gli Slint sottacqua, però solitario, mezzobusto fuor dal Piave, con una chitarra tra le braccia, senza fare del surf-rock, ma folk psichedelico – evidentemente, nemmeno citare Jarmusch può rendere ancor più paradossale la realtà dei fatti. La certezza che ci avvolge è una: la Maple Death Records, dopo lo split Havah / His Electro Blue Voice, si conferma con questo disco un’etichetta da studiare e seguire attentamente.