Mike and The Melvins – Three Men And A Baby

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Verso fine millennio scorso, i Melvins, videro la propria già prolifica vena artistica andare in iperattività. Non sazi dell’uscita quasi contemporanea dei due “Bootlicker” e “The Maggot” nel 1999 decisero di aggiungere al palmares la preziosa collaborazione (alla luce dei fatti) con Mike Kunka – bassista e cantante dei GodheadSilo, Noise-Rock band di Olympia, Washington. Non solo portarono il buon Mike in tour con loro, ma registrarono con il bassista svariato materiale inedito che non vide però mai la luce.

L’anno scorso, con soli sedici anni di ritardo, i nostri hanno finalmente deciso di porre rimedio e completare quell’opera che da troppo tempo era rimasta ingiustamente abbandonata in qualche cassetto di casa Osborne. Ed oggi possiamo definitivamente affermare, dopo un attento ascolto, che Three Man And A Baby non avrebbe meritato un esilio così prolungato.

Un disco, nonostante la nascita postuma, mai frammentario, pieno zeppo di idee meravigliose e con un’estetica ben delineata votata all’alt-Metal dei Nineties. Un crossover che probabilmente subisce il fascino delle nuove proposte del tempo – ascoltate l’openerChicken ‘n’ Dump” e ditemi se non è una stupenda rivisitazione dei primi Deftones –, ma innamorato del proprio decennio che sta per finire – e di band come i Faith No More (“Limited Teeth“), ma anche degli ultimi Tad (“Bummer Conversation“).

Tutto è impregnato da un costante desiderio di ricerca e approfondimento in merito alla relazione, a volte intima, fra le nuove avanguardie “pesanti” (mentre il Grunge è sul viale del tramonto), il Post-Punk – a questo proposito cade a fagiolo la rivisitazione del noto brano dei P.I.L di Johnny RottenAnnalisa” –  ed il Post-Hardcore: argomento affrontato in maniera sublime in “Read The Label (It’s Chili)“.  Un documento prezioso, capace di raccontare meticolosamente quello spaccato temporale che dalla comparsa delle prime camicie di flanella ci ha accompagnato fino, e non oltre, la porta del nuovo millennio.