Me lo avevano detto. Si, me lo avevano detto che sarebbe stato un gran bel live, di quelli che rimangono fra i ricordi più cari, un po’ come quelle fiabe ancestrali che narrano di streghe e che piacciono tanto a noi donne.
Del resto, tra frequentatori compulsivi e nottambuli di concerti azzardare la frase “ho visto il concerto dell’anno” equivale a recitare quel personalissimo mantra facilmente traducibile in “anche stavolta c’ero”. L’ambientazione è il Legend, locale della periferia a nord di Milano. Il rituale pagano consumato sul palco sono loro, i BLOOD Ceremony, canadesi dell’Ontario dediti a un Folk contaminato da atmosfere sabbatiche e preghiere Doom, cesellate a suon di flauto. La band, al quarto album e fresca di un certo successo al Roadburn, è attesa da tempo in città dove, tra gli adepti, gode di un buon successo. Sul palco, la front woman è la signorina Alia O’Brian, giovane e ipnotizzante Strega, che ammalia fin dalle prime note con una voce suadente e una presenza scenica degna di un raduno notturno propiziatore di fertilità.
Siamo al cospetto di tutto quel materiale religiosamente dedito agli anni ’70, Folk e Hard Rock con tendenze mistiche alterate da certa psichedelia californiana: il più imponente revival musicale degli ultimi tempi, per intenderci. Sul palco, oltre ai soliti strumenti di rito, un Hammond e un flauto la fanno da padrone, ammiccando a band del calibro di Deep Purple e Jetrho Tull; soprattutto questi ultimi si fanno sempre più incalzanti man mano che il flauto di Pan, suonato magistralmente dalla pallida fanciulla dai lunghissimi capelli corvini, emette il suo mantra esoterico teso a risucchiare il pubblico presente. Quasi una Biancaneve Dark in procinto di riconoscere la matrigna come suo alter ego.
Alcuni pezzi del quarto lavoro dei Blood Ceremony, Lord of Misrule, si srotolano sul palco per poche canzoni e nel complesso la band possiede l’attitudine giusta capace di trascinare il pubblico, come il pifferaio magico, in un mondo surreale dall’immaginario bucolico, costellato da folletti, asce e riti propiziatori pagani declinati musicalmente. L’esibizione spazia regalando al pubblico presente, una panoramica del percorso artistico della band.
Unico neo l’assenza di merchandising fatta eccezione per le t-shirt: segnale che al Roadburn è stato un successone.
Nota post note: la signorina è la portabandiera al femminile più convincente vista finora su un palco. La gentilezza post concerto dei componenti della band è a dir poco all’italiana: autografi, strette di mano e sorrisi commossi. Promossi a pieni voti.
Live report: Cosetta Fiori
Foto: Roberto Mauri