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27 maggio 2016 | mom + pop music | flumemusic.com |
Nei mesi a cavallo tra il 2012 e il 2013 non si parlava che di Harley Streten a.k.a. Flume e del suo disco omonimo. L’album non riscriveva le regole della musica elettronica ma era in grado di dir la sua. La sua, appunto, era EDM che “se vuoi la balli ma non sei obbligato”. Quel debutto è stato l’assemblaggio di un’attitudine pop da producer già navigato (alla faccia dei 20 anni di età di allora) insieme a una buona sensibilità sperimentale e un taglio hip hop, all’occorrenza. Poco dopo l’uscita era circolata la voce (rilanciata dallo stesso Flume anche in un’ intervista in quel di Babylon, Radio2) che il suo futuro andazzo sarebbe stato più à la Jai Paul e Ben Khan. Una meraviglia se la mira dell’australiano si fosse puntata su ulteriori dosi di bassi (e di bassa fedeltà), falsetti e rumori di un suq!
Ecco, in realtà non è poi andata così. Il disco che abbiamo fra le mani non va in un’altra direzione rispetto all’omonimo. Va nelle stesse moltiplici direzioni, solo ci va più forte. È come quando ripeti la ricetta fortunata aumentando le dosi di tutto: più olio, più spezie, più cottura, più roba. E allora la prima prospettiva, quella razionale, ci dice che siccome “Flume” era bello, questo “Skin” non può esserlo di meno. Ci sono le canzoni, ci sono gli ospiti presi dal mondo hip hop (Vince Staples tra gli altri) come da quello elettronico e pop (Tove Lo e AlunaGeorge), ci sono i samples, ci sono gli strumentali, c’è un giovane produttore sveglio e attento a ciò che circola intorno.
Ma c’è anche l’altra prospettiva. Quella che prende campo dopo più assaggi: “Skin”, rispetto all’esordio ha quell’aria ipercalorica che è sempre un’arma a doppia lama. C’è dentro tutto (nel senso dei sottogeneri dell’elettronica) e tutti (inteso come gamma di ospiti). In genere questo è il sentore di una consistente paura di sbagliare. Ad ogni modo, “Numb & Getting Colder” rappresenta quello che a Flume riesce meglio: un crescendo emotivo dal passo pachidermico e con i suoni appuntiti. Bella e connotante è la presenza di Yukimi Nagano (Little Dragon) nel synth pop di classe di “Take A Chance”. “Wall Fuck” evidenzia la parentela con l’interessante side project di Streten, i What So Not. Poi ci sono le citate collaborazioni con esponenti di peso della scena black, quali Vic Mensa, Vince Staples e Raekwon dei Wu-Tang Clan. In questi tempi in cui hip hop ed elettronica s’incontrano spesso, sembra che sia più l’elettronica ad avere bisogno dell’hip hop che viceversa. Nel bilancio dei tre pezzi in questione, invece, Flume rende di più di quel che chiede. L’ultima traccia è condivisa con l’ospite di lusso che sempre più spesso, in questi mesi, concede queste apparizioni: qui Beck fa Beck, ma lo fa su una base sincopata fatta di bassi e strappi che forse a questo giro apprezzerà anche Kanye West. La logica su cui si regge Skin, come capita spesso, è quella del more is more. Ma chissà che gran disco imperfetto sarebbe stato con qualche (rischioso) gioco di sottrazione.