Winter Severity Index – Human Taxonomy

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La progressiva necessità di controllo svolge da sempre un ruolo dominante nella costruzione di quelle comunità – Città, Nazioni – che riassumiamo col concetto di “società evoluta”. Una pratica necessaria al fine di mantenere salde le briglie, scongiurando il disastro e precludendo parte dei nostri impulsi. Così, come un’unica entità priva di memoria, l’umana progenie sembra essersi dimenticata della propria grandezza incappando, come conseguenza diretta, nei pericoli dettati da un tracciato i cui limiti si sviluppano attraverso una complicata serie di classificazioni. Il secondo album delle Winter Severity Index – dopo lo splendido esordio “Slanting Ray” – nasce appunto dalle riflessioni di cui sopra, con particolare attenzione per quella che dovrebbe essere, e spesso non è, la naturale tendenza (umana) nel differenziarsi dal percorso prestabilito: sentiero tanto sicuro quanto talvolta castrante.

Uscito per Manic Depression Records, il nuovo “Human Taxonomy” (Tassonomia Umana, appunto) si discosta in parte nei modi e sicuramente nel messaggio (ma non nell’estetica) nei confronti del suo predecessore. L’album, recentemente presentato in anteprima alla venticinquesima edizione del Wave-Gotik-Treffen di Lipsia, aggiorna le dinamiche eighties – quell’estetica sottolineata dal sax di Pierluigi Ferro presente in brani come ‘Ordinary Love‘ (Slanting Ray) – in favore di un approccio moderno che guarda al passato con gli occhi di Luis Vasquez (Soft Moon) e Taylor Burch (Dva Damas). Un suono leggiadro per quanto funereo, capace di muoversi come fuoco fatuo fra gli incubi dello Smith (Robert) più gravoso; redento, nel ventre malevolo del Tropic Of Cancer.

Ancora una volta il progetto di Simona Ferrucci – cantante, chitarrista, compositrice e autrice di Roma –, sembra muoversi nella direzione esatta in rapporto all’evoluzione di una “Dark Music” che procede imperterrita nel proprio percorso destrutturante. Un album scuro, claustrofobico, proprio come le nicchie a cui, volenti o nolenti, il quotidiano ci assegna. Forse per nostro stesso volere.