Grace Jones – Warm Leatherette

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Dopo una trilogia che ha contribuito nel consacrarla a regina della disco music, Grace Jones con “Warm Leatherette” abbandona il suo status da disco-diva per intraprendere quello di una delle più grandi icone anni ’80. E se fino ad ora si era fatta conoscere per i suoi lineamenti distanti dai canoni “classici” della nera femminilità – seppur mai disdegnando le esibizioni in nudo –, non rinunciò mai al proprio lato sexy, votato alla causa della disco-musicGrace è sempre stata una donna con le palle, quella che usa l’uomo per i suoi gusti, spesso esclusivamente sessuali. Qui inizia una rivoluzione, proprio a partire dall’immagine: robot androgino, scultura espressionista, femme-fatale tropicale, spirito urbano notturno e modella haute couture.

Jean-Paul Goude, fotografo della copertina e poi futuro fidanzato della cantante, accentua ed estremizza la sua androginia. Scompaiono i colori da “Gay Club”, gli abbracci collettivi e i sorrisi si chiudono in un volto duro. Saluta Tom Moulton, leggendario produttore e remixer dei suoi primi tre album che, nonostante il successo della Jones all’interno dei disco-club, non hanno mai svettato vertiginosamente sulle classifiche americane.  Abbandona Philadelphia, storica sede della Black Music e del philly sound.

Grace Jones torna alle sue origini tribali senza interrompere la ricerca musicale. “Warm Leatherette”, oggi ristampato in una lussuosa versione da 2CD o 4LP, è l’inizio della rinascita. Grace guarda direttamente ai Public Image Limited, soprattutto per quanto riguarda le contaminazioni di quei generi che nascono e crescono agli antipodi: la New Wave e il Reggae.

Il brano omonimo raccoglie qualche reminiscenza da “Antlantic City Gambler” – del resto già ai tempi di “Fame” quel brano era una specie di mosca bianca in mezzo alle altre tracce. Le registrazioni, svolte alle Bahamas con gli storici Chris Blackwell e Sly & Robbie, segnano l’abbandono della sezioni archi e fiati, per abbracciare una tradizione più Rock mediante l’intervento del sintetizzatore – “Love is the Drug”.

Molti sono i pezzi accompagnati da chitarra e pianoforte. “Like a Rolling Stone” ad esempio, originaria dei Roxy Music, strizza l’occhio ai Cream portandoci al cospetto di uno strano fantasma mutaforma che ingloba nelle proprie sembianze sia Dylan che Springsteen – “Bullshit”. I synth dapprima così anomali, cominciano ad entrare con delicata prepotenza nel mood, spianando la strada ai veri capolavori “spartiacque” di questo momento jonesiano. La Dub-Chansonne “Breakdown” ribalta la funzione della chitarra all’interno dell’album, mentre la nottambula e romantica “Pars”, risulta una rivoluzionaria reinterpretazione di Jacques Higelin. Poi arriva il capolavoro “Private Life” – cover dei Pretenders –, con la sua batteria in stile Trojan e quelle atmosfere notturne che rievocano sognanti momenti da spiaggia, quando lo sfondo marino aumenta di fascino dopo il tramonto. Con questo pezzo Grace Jones entra per la prima volta nelle classifiche Inglesi, lo fa grazie ad un “cantato/parlato” che sarà la matrice del successone “Pull up to the Bumper”. Pezzo che lancerà l’album successivo – benché sia stata pensata e registrata per essere inserita in“Warm Leatherette”, venne poi considerata troppo distante dall’estetica dell’album. Questo il primo colpo di quella che rappresenterà trilogia sintetica anni’80. L’insolito, affascinante, erotico lato oscuro della Dub music, l’unico che sia mai riuscito a coprire il sole jamaicano.