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30 settembre 2016 | Harvest | hernameisbanks |
A inizio anni ’10 c’è stato quel momento in cui la schiera di rappresentanti del nu soul è ingrossata in modo sospetto. Parliamo di quel mondo neanche troppo variegato che si è saputo muovere tra elettronica, r’n’b bianco, doti vocali di rispetto e produzioni curatissime. Qui il riferimento è più a Rhye, Autre Ne Veut e Lorde che a James Blake, sia chiaro. Goddess, il disco d’esordio di Banks (2014) ha visto la luce all’incirca nella fase di scrematura di quel tipo di proposte. Quindi, non solo l’album ha riscosso meno dei singoli preparatori ma per giunta, il nome di Banks ha rischiato di essere reintegrato nel sottobosco del pop-soul rifinito.
E la carriera anche attuale della ventottenne sta risentendo un po’ di questo: resta sospesa tra il mainstream e l’artigianato elettroacustico. Nel mezzo tra una SIA che neanche vorrebbe essere e un’immagine spontanea con cui deve riprendere dimestichezza. In effetti, la copertina di The Altar ci mostra una bella Jillian Banks in un bianco e nero d’ordinanza ma ce la presenta anche struccata come chi sa rinunciare (per forza di cose) allo status di stellina pop. Ed ecco che, allora, il nuovo album convince di più quando suggerisce alcune assonanze d’attitudine e di profilo più che di genere. Vengono in mente Nite Jewel e Empress Of (losangeline come lei, nell’origine). Artiste tra loro diverse, per carità, ma animate da una simile capacità di mantenere il tratto soul solo come fondamento su cui costruire tutt’altro. Ognuna, a suo modo, intenta a incastrare i ritmi come in un gioco che si fa stando seduti per terra.
Banks funziona quando infila la melodia non banale e di meno quando è più prevedibilmente sofisticata. Come nel video laccato di “Gemini Feed” o in quello di “Fuck With Myself”, dove ostenta un’aria inquietante e sado maso. Tra i produttori e i collaboratori (più o meno gli stessi di Goddess) c’è ancora SOHN e si sente.
Ad ogni modo, tracce come “Lovesick” e “This Is Not About Us” sembrano (quasi incidentalmente) gli episodi più efficaci. The Altar fa bene a sfuggire a qualche regola di troppo e per questo arriva al punto più del suo predecessore. Senza clamore, in ogni caso.