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settembre 2016 | v4v records cloudhead |
C’era una volta un tale che studiava i sogni, e le sue scoperte avrebbero contagiato il nostro mondo. Ci spiegò che i sogni altro non sono che il soddisfacimento allucinatorio di uno o più desideri repressi, nascosti nell’inconscio, occultati come cadaveri che scottano dal censore che è in noi, affinché la mano sinistra non sappia mai cosa fa la destra. E allora lo scopo era di interpretarli, di provare a smontarne il congegno con un nuovo strumento, ovvero la psicoanalisi, per aprire una finestra sulle pulsioni più segrete, per sciogliere la nevrosi che ci attanaglia. Per riesumare il corpo che scotta. Quel tale ci diceva che non siamo liberi, o lo siamo fino a un certo punto. Quel tale era Sigmund Freud, il portatore di peste. Ora la domanda è: sarà il suo verbo ad aver contagiato il nuovo album della band Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere, intitolato “Interpretazione dei sogni”?
Le Sacerdotesse sono in quattro, sono piacentine, e anche un po’ piacione, secondo gli standard in uso (sì, sono in uso, sono in uso) dell’alternative rock nostrano (chiamiamolo così), e quindi in realtà sono tutto fuorché piacione, ma è una logica contorta che andrebbe analizzata meglio altrove (aspettatemi). Parliamo però delle cose importanti: in appena due anni la band ha pubblicato due album (compreso questo), e un extended-play (che anticipava questo). Onore al merito dunque, visto che in Italia per mantenere attiva ed unita una band servono sforzi tali che al confronto le dodici fatiche di Ercole sembrano quasi una pennica domenicale. Detto ciò, veniamo ai sogni; ce ne sono in questo disco? Certo, a patto che siano infranti. Un precipitato di solite amarezze, fra bozzetti criptici e repentine confessioni.
Otto tracce che vanno via in un attimo, lasciando qualche scoria, proprio come i sogni. Fra simboli, spostamenti, e sublimazioni. Volete il cavallo? Ce ne sono ben due (“Innamorata di un cavallo”, che il nostro Es immagina sia ispirata a Ilona Staller, e anche “Forte come un cavallo”, idem come prima). Volete Kafka? Ce ne sono due al prezzo di uno (nella traccia omonima, a metà fra “La metamorfosi” e “Lettera al padre”, con una citazione a sproposito, e quindi a ragione, di Adriano Celentano & Claudia Mori). L’apertura affidata a “Ricordati del sogno” è il momento più riuscito (malinconia alt-rock col pilota automatico, ma pur sempre efficace). Ci sono i tempi dispari e i tempi bui. E c’è anche il tempo di morire; infatti nel brano “Il mio corpo magico” pare di sentire un Battisti/Mogol sfrattato dall’Olimpo della musica italiana.
La prima parte del disco è più convincente, ma anche più monotona; la seconda più intrigante, ma più sfocata. La lezione dei Dinosaur Jr. filtrata dai Verdena della triade iniziale, aiuta in più di un’occasione Le Sacerdotesse, che portano avanti il loro culto in cerca di proseliti. E se comporre può essere un ottimo esercizio di auto-analisi, forse recensire può diventare una sorta di psicoanalisi a distanza, decisamente insoluta. Per cui ci chiediamo: c’è ancora gioia sull’isola del piacere? Ovvio che no, non c’è mai stata. Ma c’è grinta, tutto sommato, malgrado l’intimismo ad oltranza di una generazione, la nostra e quella dell’alternative, barricata in sé stessa, per motivi intra ed extra testuali. E malgrado il post-hardcore come fortezza estetica, modello Fortezza Bastiani da “Il Deserto dei Tartari”. L’incendio di un tempo (ma quale tempo?) può essere al massimo il tepore da caldarrosta di un luna park abbandonato. E vedi che la poesia, forse, ancora si ostina. Dalla coazione a ripetere alla coazione a “Repeater”. Non è una svolta, ma poteva andarci peggio. Promossi con riserva (più indiana che indie-ana).