Peter Murphy @Locomotiv Club, Bologna 26 Ottobre 2016

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Il Rock è la vita, la vita non è Rock (quasi mai).
Ecco un piccolo corso d’aggiornamento a firma Peter Murphy.

“Ci vuole più rispetto, serietà e comunicazione”. Ecco. Questo sembra emergere osservando i commenti comparsi al termine del concerto sul profilo Facebook dell’evento che Peter Murphy ha svolto ieri (senza encore) presso il Locomotiv Club di Bologna. Un vero e proprio plebiscito che ha coinvolto nello sdegno buona parte degli avventori. Questo perché il buon Murphy non ha perso il vizietto di riservarsi il diritto di decidere come e quando mandare tutti affanculo; prerogativa (fra l’altro) dei grandi geni pazzi della storia, figuriamoci di uno che nel 2013 è stato arrestato per aver causato un incidente stradale mentre era sotto l’effetto di alcol, droghe e con la vettura carica di metanfetamina.

Parliamo di circa un’ora di concerto davanti ad un pubblico mediamente attempato, freddino, in parte ancora ammaliato dei fasti dei Bauhaus che furono – e con la speranza di poterne gustare nuovamente la potenza. Questa la molla che probabilmente (nella testa già provata del nostro) ha fatto scattare quella rivolta (pacatissima) svoltasi al termine del concerto; fatta di stoico presenzialismo davanti all’ormai calato sipario – nell’incredulità che i propri danari siano svaniti nel giro di un’oretta scarsa. Questione di rispetto tanto al kg potremmo dire. Bela Lugosi sta male, è preso male o si è solo rotto i coglioni di fare il suo (in maniera impeccabile fino a quel momento) per un pubblico diverso da quello assaporato durante le due ore di concerto messe in scena la sera prima al Quirinetta di Roma? Forse la seconda, a giudicare da quanto appreso dallo staff del locale:

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A prescindere da tutto ciò, e rimanendo solidali con il Locomotiv – che si è anche dovuto ciucciare una selezione musicale (tremenda) pre e post concerto imposta dall’artista –, viene da chiedersi se ad oggi tutto questo chiacchiericcio farcito di parole altisonanti (e fuori luogo per le dinamiche Rock) rispetto ad una performance artistica, non sia un mero riflesso delle abitudini introiettate da parte di una società perennemente in crisi d’identità, che storce il muso e fa spallucce se non ottiene il pony per il proprio compleanno. Per questo pronta anche a mandare tutto in vacca:

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Forse, la selvaggia dinamica del Rock che a fine settanta bollava come “Cool” lo sputare sul pubblico (Gobbing, se siete dei Punk), e negli Ottanta sollecitava lo sfasciarsi la faccia sul pavimento – magari per un mancato Stage Diving – oggi fa le pulci sulla durata, chiede lo sconto e mette in conto la benzina, il viaggio, il tempo ed un mancato avvertimento del fatto che il concerto fosse finito – benché da che mondo è mondo se il sipario si chiude e il Dj fa partire la musica il segnale dovrebbe essere chiarissimo.

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Dignità(?!) e serietà i “tag” più usati. Che per carità, rimangono doverose nei confronti di chiunque, intendiamoci, ma diventano così curiose se issate a caposaldo di una battaglia di sdegni nei confronti di un’ottima performance, seppur priva di encore – quando per encore si intende metà concerto eh! It’s Only Rock’n’roll (diceva qualcuno), rischi e magie incluse nel prezzo. Non è proprio questo che rende ancora così dannatamente affascinante il tutto?

Detto ciò, questo concerto senza bis com’è stato?

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Bellissimo.

Peter Murphy in mezzo, i suoi due angeli ai fianchi per un affascinante viaggio che dalle dinamiche Wave delle splendide “Cascade“, “All Night Long” e “Indigo Eyes“, spazia attraverso cinquant’anni di Rock moderno. Un incedere che spesso si rifà agli artisti più amati dal nostro, e un’estensione vocale che live ancora stordisce. E’ Nick Cave che talvolta fa capolino da brani come “Marlene dietrich’s favorite poem“, mentre “The Bewlay Brothers” rappresenta uno splendido omaggio al defunto Bowie. Si scende un pelo di tono solo quando il nostro spazia sognante verso territori di Deep (1989) – “Strange Kind Of Love“. Un unico flusso acustico di stornelli ancestrali – accompagnato talvolta dal violino –, che riporta alla formazione musicale del nostro.

Dei leggendari Bauhaus arrivano “Kingdom’s Coming“, “King Volcano” (Burning From The Inside, 1983) e “Silent Edges” (The Sky’s Gone Out, 1982).

Chiude “Lion“, traccia omonima dell’album del 2014.

Poi il vuoto, l’attesa che da tenera si fa corrucciata, poi furente: cancellando tutto quello di buono fin qui visto come accade con la passione fra amanti. Genuina diremmo, per un bis che dando un’occhiata alla scaletta sarebbe stato il giusto coronamento di un concerto memorabile.

Tempo di una sigaretta e al rientro nel locale si nuota come i salmoni contro la corrente di teste abbassate, ormai è chiaro che lui li ha sedotti ed abbandonati.