Whores – Gold

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Il riscatto dell’identità personale non è mai stato così in cattive acque come di questi tempi. Nonostante quella vocina proveniente dal profondo dei nostri abissi inconsci ci urli di resistere (a noi stessi), spesso cediamo. Forse con una sana educazione al Noise-Rock ce la caveremmo meglio.  Perché il Noise non è musica sinfonica, né melodia o sperimentazione votata al piacere da camera, ma un libretto d’istruzioni all’esistenza; consapevoli di occupare i margini di una società talmente edonista da dimenticare l’uso dello specchio come materiale d’analisi.

Gold, l’esordio dei Whores, contiene dieci modi per analizzare le mille dinamiche sociali che ci annientano. Dalla routine quotidiana, agli amori istituzionali: quelli vissuti con stile impersonale e capaci di fomentare la solitudine dell’anima. Un bidone della spazzatura come artwork, ed un pensiero à la Théodule-Armand Ribot per analizzare la scomparsa ci certa poesia vitale dall’animo umano. La voce martellante di Cristian Lembach, potente e atrofizzata dall’urlo di condanna, declama verità più taglienti di un bisturi. Riflesso vocale che si incastra e rimbalza in una sessione ritmica incessante, con Donnie Adkinson (batteria) quasi a dirigere le urla e le corde di Casey Maxwell (basso) verso il disastro. Un Power trio che si è minato il cervello ascoltando incessantemente band del calibro di Unsane, Melvins e Jesus Lizard, restituendoci un Frankenstein sonoro di sicuro impatto.

Born in blood. Die Alone. You cannot save what you don’t own”. Così recita il testo di “Baby Teeth“, raggiungendo la perfetta sintesi contenutistica di un esordio sincero e spietato. Bravi.

Data:
Album:
Whores - Gold
Voto:
51star1star1star1star1star