Paul Weller – A Kind Revolution

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L’approssimarsi del traguardo dei sessant’anni sembra aver dato a Mr. Weller la tranquillità per fare un disco meno inquieto rispetto agli ultimi episodi. Il padre della cultura Mod inglese, e non solo, ha attraversato tutte le sottoculture musicali dagli anni settanta in poi. L’esplosione Punk-Mod revival con i Jam, la raffinatezza Soul dalle venature elettroniche degli Style Council, e il ritorno ad una carriera solista come punto di riferimento del revival Britpop.

Benché Paul Weller sia profondamente inserito nel contesto musicale contemporaneo, il suo background Blues/Northern Soul continua a mantenere un ruolo centrale. Inoltre, Paul ha affinato negli anni le sue capacità, trovandosi a suonare moltissimi degli strumenti presenti nelle sue opere.

Il nuovo “A Kind Revolution“, presentato al pubblico con il singolo apripista “Long long road” – un perfetto esercizio di stile corredato da sonorità sixties, organo hammond, archi e cori –, suggerisce un’estetica che spazia temporalmente dalle radici beatlesiane fino al revival anni novanta dei discepoli Oasis e Blur – che emergono con forza in “The impossible idea” –, ma non solo; pensate ad un pezzo come “Woo see mama”, dove il Boogie demoniaco si mischia alle sonorità Swing, ed avrete le roots della musica americana servite su di un piatto d’argento.

È un Weller in forma smagliante, capace di spostarsi agilmente su ritmi Funk quando il momento lo richiede – “She moves with the fayre”. Piacevoli le ospitate, che spaziano da Robert Wyatt, altro sfortunato nume tutelare dell’Art-Rock, fino al ritorno di Boy George in “One Tear“: quest’ultima capace di sfidare certo Dub appartenente alla Bristol dei primi anni novanta.

La vera gemma dell’album arriva però con la ballata omonima – capace di portare alla mente il Folk-Rock di John Martyn – dedicata al pittore Edward Hopper, mentre il Weller più aggressivo lo troviamo in “The Satellite Kid”, “New York” e “Nova”, dove la chitarra sembra sfiatarsi alla ricerca del proprio mood (ipnotico) senza mai definirlo completamente.

La cosa che stupisce è la creatività di Paul Weller, che ogni volta sembra attingere da un pozzo infinito. Questo non significa che possano mancare delle incertezze musicali o magari degli episodi non perfettamente a fuoco come già accaduto nel precedente “Saturn Patterns”: quello sì, talvolta forzato.

La produzione di “A Kind Revolution” sembra invece inserita nel solco di un percorso artistico ormai consolidato. La sensazione, ce lo auguriamo, è che Weller non debba dimostrare più nulla a nessuno: del resto, la sua una carriera sfolgorante gli permette di proseguire il percorso indipendentemente dalla volontà della casa discografica o dei fan. La sua storia musicale lo segue sempre con orgoglio, ma la vera bravura, universalmente riconosciuta, è stata quella di attualizzare un percorso sonoro fatto di durezza e dolcezza al contempo.

Pochi esponenti del panorama musicale odierno – forse il solo Morrissey –, possono dire di aver influenzato più di una generazione, sia dal punto di vista artistico che dal punto da quello iconografico, e questo “A Kind Revolution” rappresenta un nuovo e splendente tassello di un mosaico su cui Weller ha iniziato a lavorare oltre quarant’anni fa, ma che è ben lungi dall’essere terminato. Con la sua e la nostra soddisfazione.

Data:
Album:
Paul Weller – A Kind Revolution
Voto:
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