At the Drive-In – Inter Alia

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C’era un ragazzo, una volta. C’era un ragazzo con la t-shirt dei Bon Jovi, un bel cespuglio afro, e una voce svettante sul registro tenorile. Stile canoro in bilico fra yelling punk-hardcore alla Jello Biafra rappato alla Zack de la Rocha. Uno stile, insomma, in “Acrobatic Tenement”. Qualche buona carta da giocare sul registro hard-rock, e un melodismo in via di costruzione. Di lui dirà, il sodale Omar Rodriguez-Lopez: “Nessuno sa di cosa parlano i nostri testi, solo Cedric lo sa”.  Già perché, salvo rari casi, capire di cosa diavolo parlino i testi di Cedric Bixler-Zavala da El Paso è arduo. A dir poco arduo. Possiamo cavarcela pensando che infondo, la musica degli At the Drive-in, è l’eruzione (falsamente) incontrollata di demoni e visioni accumulate nella psiche, e nel mondo, fino al punto di esplosione, appunto.

(Dioscuri nel cavallo di Troia. Castore, Polluce, più altri tre. Nessun travaso di soldati, dall’involucro di legno. Su il sipario, va in onda il teatro marionetta. Chiassoso riquadro di corpi danzanti. Se mai sarà sterminio, semmai, sarà di masse auricolari. Labirintite cronica, sotto forma di pastiche multi-strato. Mezzaluna sul tagliere, briciole, rovine del senso. Un pendolo per mondare le pudenda del mondo. 17 anni post “Relationship of Command”, dopo la pietra tombale, “Inter Alia” iacta est. Ossia, del disseppellire.)

“Inter Alia”, che vuol dire “tra le altre cose”. All’appello manca la voce e la chitarra di Jim Ward, rimpiazzato dall’ottimo Keeley Davis, già negli Sparta (allora insieme a Jim Ward). Il progressive-punk degli ATDI trovava spessissimo il punto di equilibrio, e di massima forza, nei ritornelli a due voci di Jim e Cedric. In assenza dell’uno, ecco la necessità di ridistribuire quella forza, di spostarla altrove. Ne risulta, indubbiamente, un album con ritornelli meno incisivi (ma non per nulla incisivi) rispetto all’illustre predecessore. Un’altra differenza: l’inserimento di lanci (quel momento che fa da ponte, nella struttura di un brano, fra la strofa e il ritornello vero e proprio) sostenuti da riff punk piuttosto elementari (non una novità in assoluto per la band, ma lo è in quel punto della struttura). Nota triste: Cedric, in più di un’occasione, nei ritornelli si fa i botta e risposta da solo.

L’ombra di Relationship scende inesorabile sulle undici tracce di “Inter Alia”. Che è sì l’agognato ritorno di una band che negli anni dopo lo scioglimento ha continuato a mietere cultori, estimatori, amanti alla finestra del web, in attesa del ritorno. Ma è anche, tra le altre cose, o più di ogni altra cosa, un bignamino furioso della ditta Omar & Cedric. Una sintesi esaustiva, ma non esausta, delle tante strade artistiche percorse dal duo in più di vent’anni. Si ricrea, con rabbia amore e decisione, la chimica di allora. Ma non si finge che il tempo non sia passato.

Quindi c’è l’hardcore degli esordi o poco oltre (“No wolf like the present”). C’è il post-hardcore più fedele ai canoni basilari del rock (come nel side-project Antemasque, anello di congiunzione fra l’era marsvoltiana e questo ritorno alle origini). E ovviamente c’è anche la quota marsvoltiana stessa, divisa fra uno stridulo melodiare (il refrain di “Call Broken Arrow”) e l’oscurità wave dell’album “Noctourniquet” (pensiamo a “Ghost Tape No.9”, fra le cose migliori di questo disco).

E quando la frenesia prende il sopravvento, lo spettro del capolavoro precedente quasi scompare (“Governed by Contagions”, “Torrentially Cutshaw”, “Hostage Stamps”). “Inter Alia” è certamente un ritaglio nel continuum artistico di Omar & Cedric. Ma è anche la storia di cinque musicisti (quattro più un nuovo arrivato) che riprendono un discorso che sembrava morto e sepolto. Lo dissotterrano, e lo fanno rivivere. Non ha più lo stesso splendore, ma è ancora splendido a suo modo. E una volta tanto, uno zombie che corre sembra una cosa fica. Perfino sensata.

Tutta ‘sta solfa per dire che, se la canzone in genere è un organismo capace di oscillare fra complicazione e semplificazione, in base al sapiente dosaggio di chi la maneggia, gli ATDI (e ovviamente Omar & Cedric) si (ri)confermano maestri della materia. Potremmo addirittura, con sfrontatezza, arrivare a dire che la spada di Damocle di Relationship è stata presa e usata come stuzzicadenti. Più si ascolta il disco, e più ci si convince di questo.

(pareti, gabbie, filo spinato, fantasmi spalmati sulle pareti di un manicomio abbandonato, foto di minori abusati. Barriere da evadere, rimossi da riportare alla coscienza. Quarantene psichiche, politiche, geo-politiche. Del resto gli ATDI sono cresciuti al confine fra Messico e Stati Uniti. E questo è un altro volto della loro musica: una coesistenza fra prigionieri, percorsa da una tensione costante, poi una breccia, forse un tunnel, o la speranza di una luce).

“Dissociation in the belly of the beast/Break the fourth wall/Break the fouth wall/Come on/Lobotomize the question of my infinitude”. Dal brano “Pendulum in a Peasant Dress”.

“That’s the way the guillotine claps/ He’s the one who’s governed by contagions/That’s the way the guillotine claps/She’s the one who’s governed by contagions”. Dal brano “Governed by contagions”.

“She put the feral back inside my voices/I’ll take a cigarette/I’ll put it out on my arm/It’s the only way that i can feel/One tempts the saint and the other takes the sinner away”. Dal brano “Tilting at the Univendor”.

Proprio nel brano “Tilting at the Univendor” vengono esorcizzati almeno due demoni. Il primo: il riff di “One Armed Scissor”, rivisto e scorretto per il lancio del refrain. Il secondo: l’epicità melodica di “Pattern Against User”, qui ricreata anche senza Jim Ward. Mancano forse alcuni riff da knock-out al primo round. Ma la chitarra di Omar Rodriguez-Lopez estrae dal cilindro timbri e fraseggi che danno al tutto una personalità più sfuggente, meno rocciosa. L’infinita tela di un ragno, e non un qualsiasi rifforama da Guitar Hero (sebbene, l’abbiamo detto, in alcuni punti della struttura si ricorre ad espedienti più semplici, e forse proprio per questo meno scontati).

Ennesima menzione per Cedric Bixler Zavala, che davvero in questa breve avventura riesce a riassumere un’intera carriera, mettendo sul disegno tutti i colori e le sfumature (non poche) di cui egli dispone. Poi, nel pre-finale del brano “Continuum”, infila un commovente omaggio, in guisa di temibile mantra sussurrato, alle gesta vocali di Timmy Taylor dei Brainiac. Un vecchio amore degli ATDI. Forse il più grande.

(Ora li pensiamo lì, in furgone su qualche strada immersa nel deserto, come nel film “Sicario” di Denis Villeneuve. Cedric, Omar, Tony, Paul e Keeley. L’ultimo arrivato. Ragazzi non più così ragazzi. Uomini e padri di famiglia, perlopiù. Oppure in fuga, mentre terribili mostri sgusciano dalle viscere del sottosuolo, come nel film “Tremors” con Kevin Bacon e Fred Ward. Che non è parente di Jim Ward. Texani aggrappati a un pick-up, mentre la terra balla sotto i cerchioni. Ché alla fine tutti, nessuno escluso, abbiamo i nostri “Tremors”. E li avremo sempre, finché la terra non ci inghiotte. Tra le altre cose).

Data:
Album:
At the Drive-In - Inter Alia
Voto:
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