Chelsea Wolfe – Hiss Spun

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Nel ventre gonfio delle psicosi: strumenti per l’abbandono

Chissà dove potersi dire fuori, finalmente. Se è possibile uscirne, qualche centimetro in più di distanza carnale. Lontani dagli ideali di depravazione come di lieto vivere, per questo ammosciati su tre-quattro note che sappiano rimuginare sul dolore: Chelsea Wolfe, in ogni momento più vicino all’inverno ti invochiamo. Macchina narrativa ululante e unta di sangue e petrolio.

Emersa dalla polvere della California, l’artista drone-alt-folk in salsa metal è ancora della stagione più dura: non sembra la corteccia bagnata di nessuna foresta, ma solamente la terra che raccoglie il fogliame rinsecchito. È la zia simpatica di Pharmakon e la cugina-che-frequenta-ancora-il-college di PJ Harvey. Hiss Spun, ultima passeggiata nella notte, raccoglie il male di una fittizia creatura femminile che cavalca, nuda e provocante, tra il sesso, la droga, le frustrazioni e le memorie.

Di recente, in un vasto ex-mattatoio che domina nel quartiere Testaccio di Roma, Limoni esponeva le sue opere. Il pittore camminava tra i quadri, pipa in bocca e controllava le luci. Era evidente quanto la sua altezza fosse inferiore a quella di un suo qualsiasi quadro. Nel quaderno all’entrata della sala, tra le varie frasi un visitatore scriveva: «Se lo sfondo pare un cielo/ Ogni fiore è pirotecnico» e poi, sbilenco, si firmava. Strano a dirsi, ma forse quel visitatore aveva già ascoltato Chelsea Wolfe: i fiori sul davanzale, quelli dei giardini del mondo e delle siepi ai tetti sanno tutti di casa, come profumo di intima e fugace vita. Ogni fiore ha questa dimensione pacata e allo stesso tempo esplosiva, per la quale è difficile non rimanere feriti o accecati, sempre esterrefatti. Tutti possiamo restare vittime delle bellezze che abbiamo coltivato:

Last year I moved back to Northern California, not far from my hometown, so I was spending more time with family and old friends. That naturally dug up a lot of memories for me, and without really realizing it. I started writing a lot of lines for this album that referred to those very personal memories, and dealt with the more daunting ones in that way as well.

Il linguaggio di Chelsea Wolfe non è però così immediato come un fiore. È complesso, stratificato, spesso inavvicinabile o forse proprio insensato. Fatto sta che la musica scava sotto ogni parola troppo difficile per raggiungere quell’immediatezza di senso altrimenti inesistente. Così, come il genere doloroso vuole, ci sono distorsioni noise e growl (Vex), meno sofisticazioni rispetto a Abyss ma nuove presenze efficaci: ad esempio, Troy Van Leeuven dei Queens Of The Stone Age alla batteria. A livello lirico la classica alternanza Io/Tu e Vittima/Carnefice indispensabile per ogni disco metal: I called out from the deepest part/ I feel concave/ Inverted for you/ I’ll be screaming though the afterlife/ I’ll be hunting for you/ Buried flowers.

Purtroppo, per quanto valida, Chelsea Wolfe suona ancora come un’industria siderurgica in ferie. Assembla: parole evocative + eco estatica + chitarre gonfie di fuzz e altre chitarre più taglienti + tema a scelta fra morte/ricordi/foreste/corpo. Non a caso la Sargent House la fa scortare, alle volte, dagli amici Russian Circles, altra fabbrica abbandonata. 

Data:
Album:
Chelsea Wolfe - Hiss Spun
Voto:
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