La Storia del Blues #1 Puntata

Il
blues è un genere musicale spesso snobbato qui in Italia, dischi
ne arrivano pochi e le riviste che ne parlano si contano davvero sulle
dita di una mano. Questo è davvero un peccato perché il
blues è il padre di tutta la musica moderna, senza di esso non
esisterebbero il rock il jazz e tutti i generi da loro derivati, a tal
proposito da anni gira un famosa frase che dice: “Il blues
è l’anima della musica, la fonte alla quale si torna sempre ad
abbeverarsi, motore e linfa vitale di ogni ispirazione”
.
Il termine “blues” non ha un significato particolare, molti
credono che derivi dall’espressione inglese “to have
the blues”
che si può tradurre in “essere depresso,
triste”. La struttura musicale del blues non è molto complicata:
Il testo si articola in versi di tre strofe in cui le prime due si ripetono.
Lo schema musicale è composto da dodici battute divise in tre
frasi da quattro battute e da tre accordi fondamentali, la scala maggiormente
usata è quella “pentatonica”, questo perchè
l’alterazione del terzo e settimo grado della scala diatonica genera
il cosiddetto “effetto blue note”, caratteristica peculiare
del blues. Questo effetto, ripetuto in successione, crea la tensione
“blue” che è l’essenza di questo straordinario
genere musicale. Il blues è una musica popolare o folk a seconda
di come si preferisce chiamarla nata nella seconda metà del 1800
nelle piantagioni di cotone degli USA, molti collocano la sua data di
nascita a cavalo tra il 1870 e il 1880 cioè quando cominciò
il commercio degli schiavi dall’Africa agli Stati Uniti attraverso
i giornali.

I primi “bluesmen” sono nati nella zona intorno a New Orleans
sul del Missisipi in Lousiana, questo perché gli schiavi di quei
territori godevano di una libertà maggiore rispetto a quelli
di altri stati e avevano così la possibilità di esprimere
le loro frustrazioni, il loro dolore la loro tristezza ma anche la loro
grande speranza con canti e balli, i primissimi brani blues sono infatti
solo canti accompagnati dal battito di mani, di scarpe sul terreno o
il rumore di assi di legno percosse con le mani. Tutto questo diede
vita a nuova presa di coscienza del popolo nero che trovò la
forza di ribellarsi e protestare, il blues diede forza e speranza agli
schiavi, perché il blues non è solo un lamento ma un modo
per far dimenticare all’ascoltatore, ma anche al musicista, le
sofferenze della vita. E’ celebre una frase di Le Roy Jones: “Il
nero come schiavo è una cosa, il nero come americano un’altra.
Ritengo che il blues e il nero americano siano nati contemporaneamente”
.
E’ soprannominata da sempre “la musica del diavolo”,
questo nome ha molti significati ed è stato coniato per vari
motivi: La maggior parte dei neri americani dell’epoca arrivava
dai paesi dell’Africa o dalle isole caraibiche, posti dove si
praticano religioni politeiste e di conseguenza questi culti sono stati
importati e praticati anche negli USA; Inoltre i testi delle canzoni
sono da sempre molto espliciti e i riferimenti al sesso molto frequenti,
cosa questa che ora è normale ma 100 anni fa veniva vista in
malo modo. C’è da considerare inoltre la netta divergenza
tra il blues e quella che all’epoca era la musica sacra negli
USA cioè il gospel, il blues parlava di tormenti e soffrenze
ma era un modo per le comunità nera di allora di sfogarsi e divertirsi
mentre il gospel era musica fatta per celebrare la gloria di Dio; Il
predicatore gospel era il perno di una comunità basata sulla
religione e i suoi valori mentre il bluesmen era una persona senza i
“valori morali” dell’epoca, gente che faceva una vita
avventurosa e sregolata ai margini della legalità contornata
da sesso e alcool e che nella maggior parte dei casi moriva molto giovane.
Il gospel era la musica di una comunità cristiana ben radicata
nella socetà di allora, il blues era musica di ribellione e protesta
da cui presero vita i canti sacri delle congregazioni religiose afroamericane
che all’inizio del ‘900 si opposero al dominio delle congregazioni
battiste e metodiste proponendo un nuovo approccio alla musica sacra.
A dire il vero questa divisione tra blues e gospel è meno netta
di quanto si sostenga in fatti moltissimi autori sono passati da un
genere all’altro nel corso degli anni, e i due tipi di musica
si sono influenzati a vicenda. Da tutto questo nasce il soprannome di
musica del diavolo anche se molti lo attribuiscono alla figura di Robert
Johnson, ma andiamo con ordine.

Innanzi
tutto chiediamoci che cosa caratterizza il blues? Quali sono i suoi
elementi fondamentali? Come lo si riconosce? A tutte queste domande
c’è una sola risposta: Il blues è musica fatta di
emozioni, di sangue e sudore, in un brano blues non troveremo mai la
tecnica sopraffina centrata perfettamente su ogni singola nota, il cantato
perfetto fatto da tonalità vellutate, nel blues tutto è
fatto con il cuore, tutto è centrato sulla forza espressiva che
va diretta a colpire l’ascoltatore, questo perché come
gia detto è musica nata dalla povertà e dalla sofferenza,
il cantato blues nasce dai “canti di lavoro” strofe poco
melodiche e versi poco ritmati, ma anche da piccole strofe brevi e melodiche
cantate da persone sole per vincere la noia e la solitudine, queste
canzoni venivano chiamate “Hollers”; Questi due elementi
uniti ai canti dei carcerati costretti a lavorare nei boschi e nelle
strade del sud degli USA da vita al cantato blues, è significativa
una frase detta da Eddie Son House per spiegare da dove nasce il modo
di cantare il blues: “La gente continua a domandarmi dove nacque
il Blues. Tutto quello che posso dire è che, quando io ero ragazzino,
nelle campagne, cantavamo sempre. In realtà non cantavamo, gridavamo,
però inventavamo le nostre canzoni raccontando le cose che ci
stavano succedendo in quel momento. Credo che fu allora quando nacque
il Blues”
Le umili origini di questa genere si riscontrano
anche nella strumentazione usata: Chitarra, banjo, armonica e percussioni
sono tutti strumenti “poverI”, il pianoforte è lo strumento
che allora era più presente nei piccoli locali dove gli schiavi
andavano a “svagarsi”, locali messi a disposizione dai padroni
più comprensivi. I primissimi bluesmen erano operai, ex carcerati,
giocatori d’azzardo che viaggiavano in treno da una città
all’altra del sud in cerca di ingaggio nei locali o nelle aziende
terriere per intrattenere i lavoratori, proprio per questo nella maggior
parte dei primi classici blues il treno è un elemento quasi sempre
presente, questi primi artisti blues raccontavano le loro storie di
vita ed il treno era il mezzo di trasporto principale all’epoca.
Le prime registrazioni di blues risalgono alla seconda metà degli
anni ’20, quasi sempre si trattava di dischi con solo voce e uno
o al massimo 2 strumenti, per la maggior parte chitarra e armonica e
chitarra e pianoforte. Uno dei primissimi artisti ad incidere un disco
blues fu Blind Lemon Jefferson, che verso alla fine degli anni ’20
inventò quello che oggi è conosciuto come il “blues
texano”. Della vita di Jefferson si sa poco, nato alla fine dell’800
era un tipo rozzo e litigioso ma dotato di una incredibile sensibilità
artistica, Blind Lemon, così soprannominato a causa di una malformazione
congenita agli occhi che lo portò alla cecità, fu uno
dei pionieri della chitarra blues, le sue intuizioni improvvise il suo
modo di accennare l’accordo per poi continuare con note singole
e pulite hanno influenzato tutti i grandissimi blues man degli anni
30 e 40. I suoi testi parlavano di sofferenza, di una vita vissuta “al
buio”, ma anche di amore e di morte facendo sempre un grande uso
della metafora. Queste sue caratteristiche uniche lo portarono ad avere
un’enorme successo fino a quando non morì congelato nel
dicembre del 1929. Oltre Blind Lemon jefferson ci sono stati altri grandi
interpreti blues negli anni ’20: Lonnie Johnson, Ma Rainey, Bessie
Smith, Blind Blake.
In questi anni il blues si ramifica e si divide in vari stili, nasce
il Blues texano, il Delta Blues e il east Coast Blues, ognuno con prerogative
proprie ma sempre e comunque legate alla tradizione. Inoltre in questo
periodo la strumentazione blues si espande e alcuni grandi artisti come
la fantastica Bessie Smith (detta l’imperatrice) vengono accompagnati
da vere e proprie orchestre mettendo le basi per tutti i genere musicali
“non colti” nati in seguito. Bessie è stata forse
la più grande cantante nera di tutti i tempi, la sua voce incredibile
le permetteva di spaziare attraverso tutte le tonalità possibili
con quel tocco magico che arrivava direttamente al cuore del pubblico.
Anche per lei gli inizi furono tutt’altro che facili, all’enorme
successo che otteneva nelle sue esibizioni live nei teatri delle grandi
città ci contrapponeva il continuo rifiuto delle case discografiche
di farle incidere dei dischi, tra la sua innumerevole collezione di
rifiuti spicca anche il nome di Thomas Edison. Per vedere pubblicato
finalmente un suo lavoro bisogna infatti aspettare il 1923. Fra i primissimi
ad incidere su disco canzoni blues c’è sicuramente Charlie
Patton, egli è anche uno dei musicisti che negli anni a venire
verrà preso come punto di riferimento da moltissimi bluesmen.
La carriera musicale di Charlie Patton inizia molto presto, infatti
nel 1905 (lui nasce nel 1981) la sua famiglia si trasferisce nella piantagione
di Dockery, qui Charlie poco interessato al progetto del padre di acquistare
un pezzo di terreno, comincia a girovagare per le città vicine
suonando il blues. Le sue prime incisioni risalgono alla fine degli
anni ’20. La sua voce era rozza e potente segnata dal consumo
assiduo di whiskey e sigarette e il suo stile chitarristico non era
certo da meno; Nonostante avesse un tocco superbo e una grandissima
capacità di variare il tono e tempo la sua enorme rabbia interiore
lo portava spesso ad alternare la progressione degli accordi con il
passaggio della lama di un coltello sulle corde della chitarra. In questo
modo riusciva ad ottenere un suono lamentoso e a generare forti effetti
percussivi, questo unito alle esibizioni live in cui era solito suonare
la chitarra tenendola dietro la testa o in mezzo alle gambe lo ha reso
uno dei musicisti più imitati di quel periodo, anche da molti
dei più grandi bluesmen compreso Robert Jhonson. Charlie Patton
muore all’età di 43 anni a causa di un problema cardiaco,
ebbe una vita abbastanza agiata e si sposò per ben 8 volte.
Ma
il bluesmen forse più famoso e per certi versi anche più
importante è sicuramente Robert Johnson, tutto ciò che
lo riguarda è coperto da un alone di mistero, per molti anni
di lui non si è saputo quasi nulla, nemmeno che faccia avesse
tutto quello che lo riguardava era mito e leggenda, tutti sapevano che
c’era ma nessuno sapeva nulla di lui. Per molti anni giornalisti
e discografici sono partiti alla sua ricerca senza sapere che era morto.
Ma che cosa è stato a rendere Robert Johnson il bluesmen forse
più conosciuto e imitato di sempre? Grazie alle ricerche di alcuni
studiosi come Alan Lomax ora possiamo rispondere a queste domande e
sappiamo anche qualcosa della sua vita che rimane comunque avvolta nel
mistero e nella leggenda: Per capire quanto geniale fosse questo artista
basta dire che tutta la sua opera musicale si riassume in sole 29 canzoni
registrate in due sedute, una in una camera d’albergo di San Antonio
nel 1936 e l’altra in un magazzino di Dallas nel 1937, queste
poche canzoni sono la base portante di quello che poi sarebbe diventato
il blues di Chicago e lo ha reso la vera impersonificazione del “Missisipi
Delta blues” . Con uno stile unico fondato sull’energetico
percussivo fraseggio slide e sul pattern di basso e una voce molto espressiva,
quasi agonizzante a volte, RJ divenne ben presto uno dei bluesmen più
conosciuti ed amati, la leggenda dice che egli vendette l’anima
al diavolo in cambio dell’abilità di suonare la chitarra,
storia raccontata in uno dei suoi brani più celebri “Crossroad
Blues”. Il suo successo commerciale fu molto significativo per
l’epoca infatti il singolo “Terraplane Blues” vendette
ben 5000 copie e i suoi dischi venivano suonati in tutti i juke point
del sud degli USA. Egli nella sue canzoni trattava i temi più
cari al blues: Il sesso, la sofferenza dovuta all’abbandono e
la magia. Ogni suo brano è diventato un classico suonato da gente
del calibro di Rolling Stones, Elvis, Led Zeppelin, perfino Jimi Hendrix
dichiarò di essersi ispirato a Johnson per sviluppare il suo
stile. Inguaribile donnaiolo Robert morì a Dallas nel 1937 avvelenato
da un marito geloso. Per capire a fondo cosa ha rappresentato la musica
di Robert Johnson è significativa una dichiarazione rilasciata
da Johnny Shines, grande bluesmen del delta e amico di Robert, così
ci parla di lui: “La sua chitarra sembrava che parlasse, che
ripetesse e ridicesse le parole assieme a lui, una cosa che nessuno
altro al mondo sa fare. Io dicevo che aveva una chitarra parlante e
molti erano d’accordo con me. Questo suono colpiva molto le donne, in
un modo che non riuscirò mai a capire. Una volta a Saint Louis
stavamo suonando una di quelle canzoni che a Robert piaceva suonare
ogni tanto, “Come on in my kitchen” (entra nella mia cucina).
Lui suonava molto lentamente e con passione, e quando finimmo io notai
che nessuno diceva niente. Poi capii che stavano piangendo tutti…
donne e uomini, tutti”
. Johnny aggiunge: “Succedevano
spesso cose del genere, e penso che Robert piangesse forte come gli
altri. Era per cose così, credo, che Robert voleva stare solo,
e ben presto sarebbe stato solo. C’era una sola differenza, credo, ed
era che Robert piangeva dentro. Sì, il suo pianto era dentro”
.
Robert Johnson fu insieme a Charlie Patton e Son House il creatore del
delta blues. Fu il primo chitarrista a ricorrere a riff boogie, eseguendoli
sui bassi della chitarra e slides sulle corde alte. Ne risultava l’impressione
che due o tre strumenti suonassero contemporaneamente. La musica di
Robert non era solo blues, era molto altro, il lamento dell’anima, il
canto della terra, la sensualità, l’esistenza stessa. Da segnalare
anche Big Joe Williamson che si era fabbricato da solo e suonava una
chitarra molto strana con ben 9 corde, anche questo è blues l’arte
di sapersi arrangiare, scoprire nuovi modi di comunicare con la musica
magari attraverso strumenti improbabili ma sempre guidati dalla propria
anima e dal proprio cuore.
Oltre alla chitarra in questi anni acquista sempre maggior dignità
e importanza l’altro grande protagoinista del blues cioè
l’armonica a bocca; Il primo vero maestro di questo strumento
è John Lee “Sonny Boy” Williamson I. Spesso l’armonica
viene accostata al country ma invece questo strumento ha la sua massima
espressione proprio nel blues. L’armonica a bocca è uno
degli strumenti più antichi, le sue origini risalgono infatti
al 3500 avanti Cristo in Cina. Come detto uno dei massimi esponenti
delle generazione di armonicisti nata negli anni ’30 è
sicuramente John Lee, egli ha rivoluzionato il modo di suonare questo
strumento aspirando le note invece di soffiarle, i suoi suoni sono sempre
molto violenti e coprono una vasta gamma di modulazioni; La sua particolarità
era quella di suonare l’armonica un quarto di tono al di sotto
dell’accordatura normale, in questo modo otteneva un suono incredibilmente
cupo e sensuale. Anche la voce di Sonny Boy Williamson I era molto particolare
caratterizzata dalla balbuzie che le faceva assumere strani registri
ritmici e da una tonalità molto abrasiva. John Lee arriva dalla
scuola blues di Sleepy John Estes uno dei più grandi autori di
sempre in cui imparò tutti i segreti della musica del diavolo.
Anche per lui la vita è cessata presto infatti muore a soli 34
anni dopo una rissa ma la sua lezione rimane tutt’oggi importantissima
e ha cambiato per sempre il modo di concepire l’armonica nel blues
facendola passare da strumento di second’ordine a vera e propria
protagonista al pari della chitarra.
Con Robert Johnson e Sonny Boy Williamson I si chiude il primo periodo
musicale blues, quello della nascita e dell’esplosione della “musica
del diavolo” nelle campagne del sud, da qui in poi il Blues si
“trasferirà” nelle grandi metropoli americane, ma
questa è un’altra storia… alla prossima puntata! ;)

DISCHI
ESSENZIALI

Di
seguito sono elencati una serie di dischi tra i più rappresentativi
della prima epoca blues.
Tutti questi lavori sono stati registrati tra il 1920 e il 1940
per cui la qualità sonora non è certo delle migliori.
Per ogni artista ho segnalato un solo disco anche se in commercio
se ne trovano molti altri anche del periodo seguente.

Robert
Johnson:
The complete Recordings
Big Bill Broonzy:
Big Bill’s Blues
Mississippi John Hurt:
Legend
Blind Lemon Jefferson:
Squeeze My Lemon
Lonnie Johnson:
Steppin’ On The Blues
Bessie Smith:
The Complete Recordings
Sonny Boy Williamson I (John Lee):
Sonny Boy Williamson Vol 1
Ma Rainey: Ma
Rainey
Roosvelt Skyes:
1929 – 1936 Vol 1
Blind Blake: The
Essential Blind Blake
Leroy Carr: Southbound
Blues
Tampa Reed: Its
Hurts Mee To
Sleepy John Estes:
Sleepy John Estes Volume 1
Memphis Minnie:
Hoodoo Lady
Bukka White: Bukka
White 1937 – 1940
Charlie Patton:
Founder Of The Delta Blues