<<
RITORNA ALLA PRIMA PARTE
Sonny Boy Williamson II
Nel corso del primo episodio di questo speciale abbiamo incontrato John
Lee Sonny Boy Williamson I ora è la volta del suo acerrimo rivale;
Rivale in tutto fin dal nome che i due si sono litigati per anni. Il
caso vuole che entrambi erano armonicisti ed entrambi sono stati tra
i massimi maestri di questo strumento. Ma occupiamoci di Rice Miller.
Egli era un personaggio molto eccentrico, caratterizzato da una grande
stima in se stesso e dalla convinzione di essere il più grande
armonicista mai esistito (e probabilmente è vero) infatti in
suo pezzo dichiara: “Dio mi ha dato un
dono così grande, un talento unico che mi permette di non dipendere
da nessuno”. Era un grande bevitore e un donnaiolo
incallito, giocatore d’azzardo e bugiardo nato almeno questo è
quello che dicono coloro i quali lo hanno conosciuto. Nonostante sia
quasi coetaneo del suo rivale John Lee, Rice Miller sale alla ribalta
molto più tardi agli inizi degli anni ’40, in questo periodo
guadagna la notorietà in un modo abbastanza singolare cioè
esibendosi in uno show radiofonico per sponsorizzare una nota marca
di farina ad Helena in Arkansas, lo show si chiamava King Biscuit Time
ed è stata la prima trasmissione radiofonica totalmente dedicata
al blues. Il suo stile era estremamente violento tanto che a volte dopo
mi concerti le labbra gli sanguinavano. Aveva un soffio molto potente
da cui scaturiva un suono pieno e sofferto, caratterizzato dalla sua
grande abilità di dosare la distanza dello strumento dal microfono
in modo da dosare perfettamente il volume senza dover amplificare lo
strumento. Altra sua caratteristica peculiare era quella di essere un
grande showman e un eccelso intrattenitore, durante i suoi spettacoli
era in grado di suonare l’armonica infilandosela completamente
in bocca! BB King lo ricorda così: “Registrai
con lui una session nel 1954, non ricordo molto, ma era proprio un gran
personaggio oltre ad essere un bravissimo musicista. Sonny Boy non aveva
un carattere facile, amava bere, ma andavamo d’accordo Certo”.
Sonny Boy Williamson II ottenne una grande notorietà anche in
Europa grazie alle sue collaborazioni con alcune delle più famose
band inglesi degli anni ’60 gli Animals e gli Yarbirds. Rice Miller,
Muddy Waters e Howlin’ Wolf formano quello che è il grande
triumvirato della Chess storica etichetta blues di Chicago.
John
Lee Hoker
L’altro grande pilastro della Chess è stato sicuramente
Johnn Lee Hooker, più giovane rispetto ai suoi 3 colleghi (è
nato nel 1917) Hook è stato uno dei più grandi innovatori
musicali di tutti i tempi. Il suo primo maestro nell’uso della
chitarra fu il suo patrigno Will Moore, egli non era nativo del Missisipi
ma vi si era trasferito dalla Louisiana questo caratterizzava molto
il suo modo di suonare fatto da un unico interminabile accordo ripetuto
più volte ricreando un’atmosfera quasi ipnotica incentrata
soprattutto sulle note basse, questo modo di suonare diventerà
il marchio di fabbrica di John Lee il quale deve molto al suo patrigno
come egli stesso ricorda: “Il mio stile
è quello del mio patrigno che m’insegnò a suonare
la chitarra molti anni fa”. Questo modo di suonare
unito al suo cantato tipico del delta formarono un sound davvero unico.
La sua fortuna fu quella di poter mischiare le due influenze musicali,
da una parte quella del patrigno dall’altra quella dei musicisti
del delta che erano soliti frequentare la sua casa come egli stesso
racconta: “Ricordo benissimo ancora oggi
quando Blind Lemon veniva a casa nostra per suonare con il mio patrigno,
wow, che chitarrista che era. All’epoca, non suonavo nessuno strumento,
ma ero sicuro che avrei fatto anch’io la stessa cosa, perché
il Blues era entrato in me e non ci sarebbe stato posto per altro nella
mia vita……e così è stato”.
Negli anni 40 Hook lascia il Delta per trasferirsi a Detroit in cerca
di fortuna come musicista, dopo alcuni anni di gavetta fu notato da
due discografici: “La gente affollava
il locale dove lavoravo chiedendomi sempre più spesso di suonare
per loro. Cominciai ad essere l’attrazione della città;
“Questo ragazzino ha uno stile differente dagli altri” si
commentava in città. Una sera, nel 1948, vennero a sentirmi suonare
due signori ben vestiti con scarpe lucidissime che mi invitarono al
loro tavolo. Li guardai e prima di presentarmi chiesi: “Siete
della Polizia?”. In realtà erano della casa discografica
Modern Records. Non avevo fin allora avuto mai molti soldi in vita mia,
mi offrirono migliaia di dollari solamente per registrare alcune canzoni
per loro. Lo raccontai ai miei amici, ma nessuno ci credeva. Dopo alcuni
giorni, ero già in sala di registrazione a Memphis dove incidemmo
diversi brani tra cui “Boogie Children”, “Hobo Blues”,
“Crawling King Snake” e “My First Wife Left Me”.
Quando “Boogie Children” uscì nei negozi arrivò
al numero uno e dopo pochi giorni il mio nome era conosciuto in tutti
gli Stati Uniti”
Per tutti gli anni 50 John Lee incise una quantità incredibile
di dischi diventando uno dei punti di riferimento maggiori per tutti
i giovani musicisti dell’epoca. A differenza di molti altri blues
men Hook amava spaziare per tutti i generi musicali infatti nel corso
della sua carriera ha collaborato con gli artisti più vari, sono
celebri le sue incisioni con i Canned Heat e con i Los Lobos, ma troviamo
anche duetti con Van Morrison, Santana, Bonnie Raitt, Ben Harper, Ray
Cooder. Santana dichiarò: “Non
ci sono superlativi che possano descrivere il profondo impatto che John
Lee Ha avuto nei nostri cuori, Tutti noi proviamo gratitudine, rispetto
ammirazione e amore per il suo spirito”. Santana e
Hooker erano legati da una profonda amicizia come John stesso ricorda:
“Ho ancora in testa il giorno in cui
ci siamo trovati per registrare The Healer, eravamo entrambi così
su di giri al pensiero di poter finalmente fare un pezzo insieme che
abbiamo attaccato gli strumenti e registrato il brano tutto d’un
fiato. La prima take è stata quella definitiva non avremmo potuto
farla meglio di così”. Anche Bonnie Raitt ha
un grande ricordo di John un giorno dichiarò: “Volete
farmi il più bel regalo che possa mai ricevere? Fatemi suonare
con John Lee hooker, lui è il blues”.Qualsiasi
tipo di musica egli suonasse la sua chitarra non era mai fuori posto,
sapeva sempre adattarsi alle varie sonorità, caratteristica questa
spiegata molto bene da Robert Cray: “Quello
che più colpisce nelle canzoni di John è che il significato
delle parole segue di pari passo le inflessioni della musica. La maggior
parte dei bluesmen tendono a limitarsi alle dodici battute invece la
musica di John non ha regole fisse”. Non mancano certo
le collaborazioni con i grandi del blues, celeberrima è la sua
performance live al Cafè Au Go-Go (immortalata sul disco medesimo)
in compagnia di Muddy Waters il quale nella sua presentazione definì
Hooker come “The Killer”, “The Champ”. Hook
fu forse l’inventore del Boogie Woogie contribuendo in modo fondamentale
all’unione tra la tradizione blues e le nuove sonorità
del dopo guerra. John Lee Hooker è morto il 21 giugno del 2001
all’età di 84 anni lasciando ben otto figli.
Cosa è Blues? Cosa non lo è?
Avrete notato che le vite dei vari bluesmen hanno tutte dei punti in
comune, tutti sono nati poveri, tutti sono stati costretti fin da giovanissimi
ad emigrare in cerca di gloria, tutti hanno avuto delle situazioni familiari
abbastanza turbolente. Questo non è un caso, il blues è
musica che nasce dalla sofferenza e dalla povertà, era così
agli inizi del secolo scorso ed è così adesso. Il blues
è uno stato d’animo più che un genere musicale.
Qualche anno fa un storico musicale americano pubblicò un volume
sul blues dove tra le varie informazioni stilava un piccolo elenco di
cosa è blues e cosa no, è una cosa fatta in forma ironica
ma rende bene l’idea. Purtroppo non ricordo ne il nome dell’autore
ne quello del volume che mi aveva prestato un amico anni fa ma ho conservato
alcuni passaggi di questo elenco:
1.
Sono auto Blues: Chevrolette, Cadillacs e camion rotti. Il Blues non
viaggia in Volvo, BMW o Golf. Il mezzo di trasporto Blues è
l’autobus o il treno. L’aereo e simili non vanno bene. Nel Blues si
cammina molto e questo è un elemento importante dello stile
di vita Blues. Come altrettanto importante è continuare a riparare
qualcosa senza cambiarla mai
2. I ragazzini non possono
cantare il Blues. Non sanno riparare bene abbastanza. Gli adulti cantano
il Blues. Nel Blues, “età adulta” significa essere
vecchi abbastanza per finire sulla sedia elettrica se spari a qualcuno
a Memphis
3. Si può fare
Blues a New York City ma non nelle Hawaii o in Canada, mentre Chicago,
St. Luis o Kansas City sono buoni posti per il Blues. Se non sei nel
posto giusto, il Blues è solo essere depressi. Non si può
avere il Blues in un posto dove non piove mai
4. Non è Blues
se ti rompi una gamba sciando. Lo è se te la mangia un alligatore
5. Non si fa Blues in
un ufficio o in un centro commerciale. L’illuminazione è sbagliata.
Piuttosto, guarda in un parcheggio
6. Nessuno ti crede
se suoni Blues vestendo un completo giacca e cravatta. A meno che
non ti capiti di essere un vagabondo e ci dormi dentro
7. Hai il diritto di
cantare il Blues? Si, se:
a. sei più vecchio che sporco
b. sei cieco
c. hai sparato a qualcuno a Memphis
d. non sei mai soddisfatto di nulla
No, se:
a. hai ancora tutti i tuoi denti
b. eri cieco ma hai riacquistato la vista per un qualunque motivo
(chirurgia o miracolo)
c. la persona cui hai sparato a Memphis è sopravvissuta
d. se hai un’assicurazione oppure pensi che prima o dopo andrai in
pensione
8. Se in un bar chiedi
dell’acqua e ti servono benzina, allora è Blues. Altre bevande
blues sono:
a. vino
b. whisky oppure bourbon
c. muddy water (acqua fangosa)
d. caffè forte
NON sono bevande Blues:
a. cocktails e long drinks
b. vino kosher
c. Coca Cola, Sprite e Pepsi
d. acqua minerale gassata
9. Se muori in un albergo
di periferia o qualcuno ti spara, allora hai avuto una morte Blues.
Se a spararti è il coniuge geloso dell’amante, magari alle
spalle, hai avuto una morte Blues. Così come è la sedia
elettrica, l’abuso di qualunque sostanza proibita o morire soli e
abbandonati. Non è una morte Blues se succede durante un incontro
di tennis o una liposuzione
10. Persone che si chiamino
Sierra, Sequoia, Auburn o Rainbow non possono cantare il Blues, anche
se hanno sparato a qualcuno a Memphis
Come farsi un nome Blues (starter kit):
a. prendi un’infermità fisica: per esempio cieco (blind).
b. aggiungi il nome di un frutto: per esempio limone (lemon)
c. completa con il nome di un Presidente USA (Jefferson) Avrai come
risultato: Blind Lemon Jefferson. Cambia i tre elementi a piacere
e fai qualche prova
11. Non mi frega di
quanto sia tragica la tua vita: se hai un computer, non puoi cantare
il Blues. Megli che lo distruggi subito. Dacci fuoco, versaci del
whiskey sopra o sparagli un colpo di pistola. Non me ne frega niente,
arrangiati
Alcune di queste frasi sono state pronunciate da dei bluesmen più
o meno conosciuti altre sono invenzioni dello scrittore che comunque
rende bene l’idea di cosa è il blues e quale era solitamente
la vita del bluesmen.
Albert
King
A queste regole non scampato un altro dei grandissimi maestri del blues
elettrico: Albert King.
Albert Nelson (questo il suo vero nome) nasce a Indianola nello stato
del Missisipi il 25 aprile 1923 ma raggiunge il successo e quindi la
notorietà solo nel 1963, molto tardi rispetto a quando ha iniziato
a suonare. Il motivo preciso di questo sua ritardata esplosione non
lo si sa con esattezza, agli inizi cantava nel coro gospel della chiesa
di Indianola e per un certo tempo la musica sacra fu il suo genere musicale:
Nel corso degli anni vagabonda per il sud degli USA e durante questi
viaggi si appassiona al blues; La prima chitarra se la costruì
da solo per ovviare alla mancanza di denaro. Nel periodo successivo
si guadagna da vivere come session man per alcuni bluesmen famosi come
Jimmy Reed e Eddie Taylor, a volte suonando anche la batteria. Nel 1963
firma un contratto con la Stax etichetta di musica nera rivale storica
della Chess. Il successo arriva quasi immediato, il suono molto potente
di King (che verrà poi chiamato “Blues Power”) è
un qualcosa di innovativo per l’epoca e il suo cantato molto intenso
e caldo ne è il giusto accompagnamento. In mano sua la chitarra
sembra piangere talmente le note sono tirate allo spasimo e i fraseggi
sono tirati e ficcanti all’inverosimile. Accompagnato da una band
di tutto rispetto in cui spiccano il bassista Donald Duck Dun e il sassofonista
Booker T. Jones, Albert King diviene presto il punto di riferimento
per molti dei giovani grandi chitarristi di quel periodo. Gente come
Eric Clapton, Stevie
Ray Vaughan
(con cui inciderà anche uno straordinario disco intitolato “In
session”), Johnny Winter e perfino Jimi Hendrix non hanno mai
fatto mistero del loro amore per il suono di Albert King definendolo
sempre come una delle loro maggiori influenze. Albert King contribuisce
molto allo sviluppo del blues anche presso la comunità bianca
americana e europea, far conoscere il blues al maggior numero possibile
di persone è sempre stato uno dei suoi scopi principali: “Darò
il Blues ad ogni dj della Nazione Se non gli piace vuol dire che hanno
un buco nell’anima” dichiarò negli anni ’60.
Buddy
Guy
Purtroppo di tutti i maestri blues che abbiamo citato in queste pagine
il solo BB King è ancora in vita e in piena attività,
certo ci sono tanti altri vecchi bluesmen che ancora oggi suonano ma
di quelli che hanno segnato la storia di della musica del diavolo solo
BB sopravvive, ma forse no c’è ancora in vita e in gran
forma anche un altro dei grandissimi, più giovane di BB King
ma comunque molto importante, sto parlando di Buddy Guy. Buddy è
una delle icone del blues di Chicago, chitarrista fenomenale e persona
molto umile ha avuto una vita molto dura, nato nel 1936 in Lousiana
ha vissuto i primi anni della sua vita in una capanna fatta di latta
senza luce elettrica e acqua corrente come egli stesso ricorda: “Avevo
13 o 14 anni quando mio padre mise un impianto di corrente ellettrica
in casa e decise di comprare una radio ed un vecchio fonografo. Quella
fu la prima volta che ascoltai Howlin’ Wolf, Muddy Waters, insomma
tutta la musica della Chess Records. Il primo disco che comprai fu Boogie
Chillen di John Lee Hooker; come inizio non c’era male”.
Appena raggiunta la maggiore età il giovane Buddy parte alla
volta di Chicago “Quando arrivai a Chicago
i miei più grossi desideri erano di comprare una birra a 21 anni
e vedere suonare Muddy Waters e non solo ci riuscii ma andai anche oltre
registrando con lui l’album acustico Folksinger, che ho registrato
in trio con lui e Willie Dixon nel 1964. Me lo ricordo perché
dissero a Muddy di cercare qualcuno che sapesse suonar bene la chitarra
acustica e lui scelse proprio me”
“Negli anni 50 Muddy Waters, B.B. King
e gli altri erano già famosi, ma avresti dovuto sentire gli sconosciuti!
Appena arrivato in città ne ho visto uno in un locale che mi
ha quasi convinto a tornarmene a casa. Ho suonato con un armonicista
e un batterista che probabilmente nessuno ha mai conosciuto al di fuori
di Chicago e, mio Dio, che cosa erano! Forse avrei dovuto buttar via
la chitarra perché c’erano chitarristi che potevano farmi
veramente girare come una trottola…….ora io sono qui ma
non perché fossi il più bravo, forse ho avuto più
fortuna di tanti altri, più possibilità. Quando suona
qualcuno come Muddy Waters o B.B. King, Buddy Guy si ferma e ascolta”.
Nel corso degli anni Buddy Guy ci ha regalato pagine indimenticabili
della storia del blues, il suo disco più famoso e forse più
riuscito è sicuramente “Damn Right I’Ve Got The Blues”
in cui il nostro duetta con artisti bianchi come Eric Clapton, Mark
Knoffler e Jeff Beck. Budy Guy ha avuto un ruolo fondamentale nel diffondere
il blues presso i musicisti bianchi, producendo i dischi di molti giovani
bluesmen e facendoli suonare nel suo locale a Chicago chiamato Buddy
Guy’s Legends: “Facciamo musica
sette sere alla settimana. Il lunedì c’è un open-jam
soprattutto per i giovani: qualunque sia il tuo livello segni il tuo
nome, aspetti il tuo turno e suoni! Anche a me capita ogni tanto di
fare qualche jam con qualcuno. Così ho iniziato: presentandomi
con la mia chitarra nei vari locali e chiedendo di poter suonare, voglio
che anche oggi i giovani abbiano questa possibilità”.
Per tutti gli anni ’50 il blues ha avuto un momento di popolarità
abbastanza calante, nonostante questo stile musicale stesse mutando
e adeguandosi ai tempi i giovani neri cominciavano ad allontanarsi dal
blues classico probabilmente a causa di ciò che esso ricordava.
Il Blues era infatti visto come un legame con un passato fatto di emarginazione
e schiavitù, se questo era apprezzato dalle persone più
in la con gli anni dai giovani veniva invece visto come una pesante
ancora al passato, lo stesso Buddy Guy in quegli anni ammise: “La
nostra gente cerca di allontanarsi dallo stile Blues. Non ascoltano
Muddy Waters alla radio, né lo guardano in televisione. E ciò
che non ascolti, non ti piacerà mai”. Se da
una parte questo atteggiamento provocava un certo senso di frustrazione
nei bluesmen più radicati alla tradizione dall’altra contribuì
anch’esso alla maturazione del genere, maturazione che ebbe la
sua consacrazione proprio nella musica di BB King e nelle sue leggendarie
performance live in cui il pubblico oltre ad ascoltare la musica la
ballava pure.
L’esplosione del Blues negli anni ’60
Siamo così giunti nel pieno degli anni ’60, in questo periodo
il blues ha una vera e propria esplosione di popolarità, i giovani
bianchi si avvicinano a questo genere in modo concreto per la prima
volta, quella che fino ad allora era la musica della comunità
nera e solo di una ristretta cerchia di quella bianca diventa la musica
di tutti, ma perché successe questo? I motivi sono molteplici.
Gli anni ’60 sono stati un periodo di grande rivoluzione culturale
negli USA, i giovani si ribellavano ad uno stile di vita impostogli
per tradizione e che ormai gli andava stretto, il blues rappresentava
oltre al lato musicale un insieme di valori e un modo di vivere completamente
opposto a quello romantico e un po’ esotico della comunità
bianca, il blues era la voce di persone povere, di gente oppressa e
segregata ai margini della società ma che nonostante questo non
si era mai persa d’animo aveva sempre lottato per affermare i
propri diritti e la propria dignità. Anche la componente musicale
ha avuto una grande importanza. Fin dai primi blues degli anni ’20
tra gli argomenti trattati nelle canzoni c’era sempre una forte
componente sessuale, cosa questa che attirò la curiosità
di molti giovani che in quel periodo si avvicinavano alla cultura beat,
quelli che predicavano “fate l’amore non fate la guerra”.
Il Blues era erotico e ribelle, ipnotico e divertente da ballare, insomma
aveva tutte le componenti che i giovani cercavano. Le storie di vita
dei primi leggendari bluesmen divennero delle vere e proprie leggende
da cui i ragazzi di allora erano molto attratti. La vita romantica di
un vecchio bluesmen non era basata solamente sul senso di ribellione,
ma sull’aver vissuto in modo rustico in luoghi e in tempi esotici,
quasi mitologici. Larry Cohn, grande scrittore e studioso della cultura
Blues, spiegava: “La vita del mezzadro
nero che soffriva sotto il sole di mezzogiorno del Sud, raccogliendo
cotone, coltivando canna da zucchero, gridando la sua frustrazione,
l’alienazione, la sofferenza fisica ed interiore; in tutto questo
c’era una tremenda visione romantica che emergeva, un mistero
che colpiva profondamente l’immaginario delle giovani generazioni”.
Anche i giornali e le tv cominciarono ad occuparsi del blues come fenomeno
sociale. La rivista specializzata Rhythm and Blues scriveva di Lighting
Hopkins nel 1963: “Lightin’ non
pensa che il giovane pubblico bianco capirà ciò di cui
sta parlando, così evita di cantare i Blues più aspri
e malinconici. Per il pubblico è un affascinante narratore delle
leggendarie storie del popolo afro-americano, di conseguenza lui offre
solamente una piccola parte di se stesso”. Questo
però era solo il lato romantico e fantasioso del blues visto
da chi di questa comunità non faceva parte, Willie Dixon lo spiega
bene questo concetto: “Il Blues era l’eredità
di generazioni vissute nella povertà, nella discriminazione razziale,
nella rabbia, nella disperazione più profonda che a volte assumeva
tratti più morbidi che si alternavano a momenti più aspri,
alternava piccole gioie a grandi dolori, ma che manteneva, in ogni modo,
un substrato fortemente malinconico di rassegnazione”.
Jeff Titon giornalista e studioso scriveva: “La
gioventù d’oggi può condividere l’alienazione
dell’uomo di colore, ma non l’eredità culturale”.
La cosa curiosa in tutto questo è che il blues nelle sue canzoni
non ha mai trattato elementi politici accostabili alle molte battaglie
che allora si combattevano in nome dei diritti civili dei neri, a trattare
per lo più di queste cose erano i brani folk, gospel, gli spirituals
e anche alcuni jazz. Il blues raccontava storie di ladri, truffatori,
giocatori d’azzardo, bevitori incalliti ed emarginati sociali
ma non faceva mai alcun riferimento al perché di queste cose.
E’ infatti quasi impossibile trovare dei bluesmen che si sono
schierati politicamente, a loro interessava suonare e cantare le loro
storie a chiunque avesse voglia di sentirle. Il fatto che i bluesmen
non si siano mai schierati apertamente al fianco delle associazioni
per i diritti civili è dovuto forse ad un certo spirito di dignità
ed orgoglio. Hanno sempre gridato il loro bisogno di umanità,
di liberazione dalle catene della discriminazione, ma sempre a testa
alta, senza piegarsi, fieri del loro passato di uomini di campagna,
abituati a resistere alle più difficili e deprimenti situazioni.
Questi sono sentimenti comuni alla maggior parte delle persone e proprio
per questo una volta che il blues divenne musica di tutti anche molti
bianchi si identificarono in esso. Ma anche questa è un’altra
storia, del blues bianco e della sua esplosione in Inghilterra parleremo
nella prossima puntata, ora concludiamo con una frase dell’italianissimo
(si ci sono anche bluesmen italiani per fortuna) Paolo Ganz: “Spesso,
di notte, mi capita di restare a lungo affacciato alla finestra ad osservare
il ponte ferroviario che collega la mia città al resto del mondo
e che appare, nel buio, come una lunga linea luminosa sospesa sull’acqua.
Tra quelle luci, vicino ad una curva che fa sparire inesorabilmente
l’ultimo vagone dei treni che se ne vanno verso la terraferma, posso
affermare con sicurezza di aver intravisto, almeno un paio di volte,
aggirarsi lo spirito del Blues…”