Rocklab: Maisie è un nome che non molti conoscono, e ancor meno persone sanno risalire al lontano 1999. Da lì prima un album/non album, poi 2 dischi più suonati e infine Morte a 33 giri. Come vedi questa evoluzione o questo percorso dei Maisie?
Maisie: Oddio, i non/album non li vedo. Voglio dire che abbiamo sempre fatto dei dischi di canzoni, alcuni, certo, più fruibili, altri meno, ma alla fine sono dettagli. La forma è nulla se la paragoniamo alle esigenze emozionali ed espressive. Un disco dovrebbe essere fatto quando si ha bisogno (non voglia, BISOGNO) di comunicare qualcosa. Confusione, rabbia, serenità, amore, odio, cambiano i sentimenti e con essi il modo di comunicarli.
R: Quali sono gli elementi e gli atteggiamenti che sono rimasti immutati dal precedente lavoro e in cosa, secondo te, il gruppo è andato avanti?
M: La (ri)scoperta del patrimonio musicale “leggero” italiano è sicuramente stata determinante nella nostra crescita, ma chiaramente non avremmo potuto gustare pienamente un Ivan Graziani se non fosse cambiato il nostro stato d’animo. I giovani in genere sono spocchiosi, presuntuosi, quello che ascoltano e sentono loro è necessariamente migliore di tutto il resto. Un giovane è sempre convinto che tutto quello che ha un volume più elevato sia il segno della imminente rivoluzione, poi tutto finisce con una birra al pub. E’ tutto molto triste. Ci interessa la cattiveria tra le pieghe dell’apparente quiete, è questo il segreto del miglior pop italiano.
R: Di voi si è detto di tutto. Cercando in rete ho trovato come gruppi di riferimento Battisti, camerini Tuxed, Cure, e anche “I Maisie sono i Matia Bazar dell’anno zero”.Cos’altro volete dire? e cosa volete che non si dica?
M: Ci da solo molto fastidio, quando per comodo si inseriscono i Maisie tra gli artisti post-moderni, a noi non interessa l’accumulo formale, la citazione, il virtuosismo, la strizzata d’occhio intellettuale. Ci interessa avere un buon rapporto con la musica, annusarla, coglierne l’essenza, gioire. Ci piace dare una forma ai nostri sogni, riportare in vita i defunti, non esporre cadaveri al museo.
R: I maisie al festivalbar, i maisie a top of the pops, i maisie al pavarotti & Friends (che è finito ma facciamo finta ne facciano una versione nuova solo per voi). Cosa sarebbe più sconvolgente?
M: Non potremmo mai partecipare a nessun evento che sia messo in piedi a scopo di beneficenza, è assolutamente nauseante, un gioco sadico di anime pie, facce scure, e lucido da scarpe in testa. Sicuramente vedrei bene i Maisie al festivalbar, chiaramente in playback, quando non devi concentrarti su quello che suoni puoi sbizzarrirti nelle coreografie.
R: Parliamo del disco Nel suo Lo-Fi ha dei suoni ricercati e molto particolari. Come sono state le sedute di incisione/registrazione (i modi “vari e ingegnosi…”)?
M: Noi siamo appassionati di alta fedeltà, ci piacerebbe registrare come Quincy Jones, magari proprio con lui. Qualcuno ci ha criticati per l’eccessivo uso di filtri, reverberi, ma per noi il pop è proprio questo, un meraviglioso artificio. Adoriamo il lavoro in studio perchè è il momento in cui tutti i fantasmi trovano il loro castello.
R: Come sono nati i 2 inserti “stranieri” del disco: il testo di Tae Tokui e quello di Iyad Tuffaha
M: Iyad è il marito palestinese di mia cugina Katia, fa il rappresentante farmaceutico ed è dotato di un fortissimo spirito caustico. L’ho invitato a casa mia con la scusa di dovermi spiegare la pronuncia di una frase in arabo che avrei dovuto cantare e l’ho registrato di nascosto mentre la scandiva. E’ stata una bella sorpresa per lui, era molto imbarazzato. Tae è la cantante dei Tottemo Godzilla Riders, una ragazza dolce, simpatica e creativa, le ho spedito un provino di “Maria De Filippi” e lei si è inventata quella coda.
R: Mi correggo, gli stranieri sono 3 in quanto Bugo è di un altro pianeta. Com’è stato tornare a lavorare con lui?
M: Come sempre, Bugo non cambia mai, è un simpaticone. La cosa che mi colpisce di più è l’entusiasmo che mette in tutto quello che fa.
R: E’ previsto un tour o qualche data in supporto del lavoro?
M: Il tour lo faremo l’anno prossimo, dopo l’uscita del nuovo cd, aspettiamo di avere abbastanza canzoni in italiano per metter su un concerto come si deve.
R: Le grafiche dei vostri cd sono sempre state molto inquietanti ed oniriche le curate tutti assieme?
M: Tutte le grafiche di Snowdonia sono curate da me e da Alberto, lui è una fonte inesauribile di visioni.
R: Chi è l’artista che doveva duettare con te ed è finito nei reality show? Ti prego sono troppo curioso di saperlo e se pensi che io mi metta a vedere ogni dannato reality show che passa per quella spazzatura in un contenitore di plastica e vetro chiamata Tv sei proprio perfida dentro.
M: Guarda, io credo che sia una cosa indecorosa il modo in cui hanno ridotto la cultura popolare di questa nazione. Per anni la Tv ha spolpato le energie del popolo, gli ha rubato l’umorismo, i dialetti, l’anima. Questo ha comunque permesso per anni la messa in onda di spettacoli belli, bellissimi o semplicemente dignitosi. Man mano però l’attenzione si è spostata dal popolo alla miserabile piccola borghesia e la nostra Tv si è trasformata gradualmente in un pozzo senza fondo di “umorismo” da ufficio. Non so se hai presente quel particolare modo di scherzare degli impiegati, è così volgare, stupido, mediamente acculturato. Preferisco di gran lunga Alvaro Vitali a quelli di Zelig. Poi è venuto fuori il fenomeno dei reality show ed ecco venir fuori questa pletora di artisti falliti che si rotola nel fango per guadagnare la pagnotta, non hanno nessun rispetto per ciò che hanno rappresentato. Io vorrei ricordare Rettore come una cantante, non come una che munge le vacche. L’artista che avevamo invitato è stato davvero un grande, uno che si è inventato qualcosa, ecco perchè non ti dirò di chi si tratta, vorrei ricordarlo solo per quei dischi, fingerò di non averlo visto trasformarsi nella triste caricatura di se stesso.