Dietro al palco #1: Disorder Drama

PREMESSA
Con questo articolo vorrei inaugurare una serie di speciali che, sperando nella volontà dei miei colleghi, potrebbe essere paragonata a un “Giro d’Italia” musicale che guarda allo stato attuale dell’organizzazione dei concerti. “Dietro al palco” perché noi appassionati di musica sappiamo benissimo quello che ci troviamo davanti sui palcoscenici italiani, ma fin troppo spesso ignoriamo i problemi di organizzazione, i dubbi, le scommesse, i sacrifici e le gioie che ci sono dietro. Questi articoli vorrebbero disegnare un quadro della situazione evidenziando le differenze e le difficoltà comuni nelle varie città e dare voce a chi da anni lavora per permetterci di ascoltare dal vivo gli artisti che ci piacciono o per farci conoscere nuove proposte degne di interesse.

PRIMA TAPPA – GENOVA – DISORDERDRAMA

I ragazzi di Disorderdrama ormai da anni illuminano le notti tra i vicoli genovesi con proposte musicali interessanti e coraggiose. Hanno portato sui palchi del capoluogo ligure decine di gruppi rappresentativi della scena alternativa internazionale e italiana, a partire dagli Xiu xiu fino ai The Evens, dai Perturbazione agli Zu; sono stati anche attivissimi nel proporre gruppi emergenti genovesi degni di nota portandoli all’udito del pubblico. Diamo voce a Matteo, uno dei ragazzi che han fondato l’iniziativa, attivo anche come musicista (coi Blown paper bags) e come volto dell’etichetta Marsiglia records.

Rocklab: Bene, per cominciare, come e quando nasce Disorderdrama e qual è il suo obbiettivo.

Disorderdrama: Ufficialmente il nome Disorder Drama compare per la prima volta per il Disorder Dramathon, festival con Hella (USA), Experimental Dental School(USA), Amtrak (D), Moller-Plesset (F) e Champagne Kiss (USA). Eravamo molto orgogliosi di quella serata che coronava la prima stagione completa al Milk. Ma l’idea, la necessità di unire sotto un solo simbolo vari anni di attività, era nell’aria da tempo. Dopo anni di sbattimenti e collaborazioni, dal 2000 in proprio ma da ben prima per conto terzi, a vari nomi e a vari titoli, si è sentito il bisogno di dare un nuovo inizio a tutto. E, nuovo inizio, nuovo nome. L’obiettivo era e rimane il non dover prendere la macchina ogni settimana e andare a Milano per vedere i gruppi che più ci piacciono, se qui nessuno li porta. Punto. Ci costa meno osare e organizzarcelo qui. Orgoglio? This is Genova… Da questo è nata l’idea che fosse possibile lavorare anche sul nostro essere musicisti, potendo dialogare con gruppi di varia estrazione, provenienza ed esperienza; l’andarli a vedere fuori molte volte significa limitarli al solo spettacolo sul palco e chiusa lì. Se qualcuno ci sostituisse in questo ne saremmo ben lieti. Ci dedicheremmo meglio ad altre attività. Fino a quando nessuno lo farà, beh probabilmente vi dovrete sorbire il mio paternalismo e la nostra presunzione nella scelta dei gruppi.

R.: Qual è stato il momento più bello di quest’esperienza?

D.: Domanda a cui non so rispondere. Tutto probabilmente. So il momento più basso, per me. Ma è legato più ad una crisi nervosa di una serata andata storta. E so il momento in cui più ci siamo sentiti gruppo. A conti fatti avere Ian Mac Kaye dei Fugazi è stato un momento importante. Una sorta di riconoscimento, approvato da sua maestà l’idolo. Ma anche con J Mascis ci eravamo sentiti così. Sulla carta. Invece, nella pratica, trovi che questi personaggi siano pari a tutti quelli che hanno ispirato. Ragazzoni alla mano con le idee ben chiare.

R.: Organizzatore di concerti con Disorderdrama, musicista con i Blown paper bags, talent-scout con Marsiglia records. Beh sei di certo una figura di spicco nell’attuale panorama musicale genovese. Secondo me la scena di questa città è molto viva, che ne pensi? Qual è il suo problema più grande nell’emergere? Le band da tenere più d’occhio?

D.: Il problema? La comunità. Ma lo esplicito meglio dopo. La scena cittadina vive. Non vegeta più. Tanta qualità, è innegabile, tante cose diverse e ben differenziate. Non ci sono “doppioni”. Identità forti che però ancora non fanno il passo di unione. Abbiamo etichette indipendenti, Suiteside, Cragstan Astronaut e Green Fog, e prima o poi di nuovo anche Marsiglia. Mi giunge voce di una netlabel di elettronica locale a cura di Mass Prod, nome da tenere d’occhio. Abbiamo i locali, devo anche elencarli? Abbiamo i portali web. Abbiamo una prima compilation stampata e altre in arrivo. Di cosa avete ancora bisogno per rendervi conto di quanto buono c’è qui? E non parlo a chi ne sta al di fuori. Parlo a chi sta a Genova. Smesciatevi! Per dire di un paio di gruppi nuovi metterei Rocktone Rebel e Japanese Gum tra le sorprese 2005. Sul 2006 Cut of Mica, ma è troppo facile, e i progetti nuovi di rimescolamento carte tra gruppi già più conosciuti… Ma non posso dire di più…

R.: Organizzare concerti per anni non è certo semplice. Ovviamente ci sono un sacco di problemi. Qual è secondo te quello che influisce di più a Genova?

D.: Manca ancora il concetto di comunità. Ci sono i gruppi, ci sono gli spazi, c’è un’attitudine comune. Ma ancora non si sente quella necessità di stare insieme, di vedersi, di usufruire di spazi comuni, di confrontarsi e migliorarsi *tutti* insieme. Stiamo lavorando ad una fanzine incentrata sulla città, che possa unire un po’ di realtà troppo frammentate. Speriamo possa dare un senso maggiore di definizione del gruppo. Insieme faremo uscire un libricino di foto di concerti da noi organizzati alla Madeleine, un’altro tassello nel processo di comunione. Un’altro elemento è la cronica mancanza di una radio in cui ci si possa identificare. Inutile citare altre città, qui siamo messi male da quel punto di vista, e la situazione non accenna a migliorare. Non c’è interesse a lavorare su una comunità troppo vaga e indefinita. Neanche a puntare al mercato degli universitari parrebbe interessare quelli che ancora trasmettono, ed è assurdo. E’ per questo che si dovrebbe dimostrare una discreta unità di intenti, dei numeri importanti e, forse, sperare in un recupero. E, dunque, in un’affluenza ai concerti degna della città.

R.: Dove sogni di organizzare un concerto? Chi ci faresti suonare?

D.: In camera mia. Evan Dando dei Lemonheads e Juliana Hatfield delle Blake Babies. Con Beth Orton in apertura che duetta con Suzanne Vega. Probabilmente per me da solo, un momento di egoismo. Ma si parla di sogni che aiutano a vivere meglio, no?

R.: Negli ultimi anni si può affermare che l’affluenza ai concerti sia aumentata, anche se particolarmente per i grandi nomi. Internet e i peer to peer secondo te quanto hanno influito in quest’inversione di tendenza?

D.: Mah, se guardiamo all’ultimo Goa Boa direi che l’affluenza ai concerti sia crollata. Dieci anni fa qualunque cosa Psycho organizzasse era imbottita di gente, che neanche sapeva chi o cosa fosse sul palco. La qualità, rimasta inalterata negli anni, se non addirittura migliorata (BECK!) non ha portato queste masse a rimanere. Esiste, certo, una nicchia di persone per cui internet è la salvezza. Gli onnivori, però, ai concerti ci andrebbero lo stesso, è una sorta di malattia la musica per loro. Sono evidentemente conscio di far parte di questi ultimi. Dieci anni fa c’erano meno cose da fare, meno gente in giro… Anche sentendo altre campane le cose non vanno meglio, blasonati gruppi indierock nazionali che fanno 20 persone a Milano indebitando gli organizzatori, progetti solisti di transfughi di gruppi iper famosi che ne fanno 120, tour di gruppi da copertina invendibili per discrepanze tra costi e ricavi… Non sono numeri da paese avanzato. E poi ci si stupisce se qui a (inserisci la tua città) non vengono… Posso chiudere solo invitando a supportare le organizzazioni locali, nei loro peregrinare da locale a locale, di genere in genere, sempre dando il meglio per non ricavare praticamente nulla. Pensate veramente che da voi non ci sia niente? fatevi un giro in centro, stazioni, negozi e guardate le locandine. Qualcosa c’è sicuramente. Per fortuna.

per informazioni, concerti e contatti: disorderdrama.org