Sulle tracce dei Settlefish

  • Per finire quali sono i progetti che sono seguiti al tour Americano?
  • E: Dopo ci sono state tante altre date in italia, la partecipazione al TORATORA!, un paio di date di spalla agli afterhours, ora stiamo continuando a suonare in giro per lo stivale, (siamo ancora vergini di Genova, non ci abbiamo mai suonato! ehehehe), e stiamo registrando un EP che conterrà delle versioni rimaneggiate di alcuni pezzi del disco, che abbiamo già avuto di far sentire in occasione di qualche concerto a bologna e milano. Poi, piano piano, stiamo assemblando materiale per il disco nuovo che ci auguriamo spacchi ancora di più di “The plural of..”. Siamo impegnatissimi e la cosa non può che farci piacere. In ogni caso grazie davvero per l’intervista.
  • Qual è il sogno nel cassetto dei Settlefish?
  • E: mah? suonare con i rolling stones? no scherzo, boh sono tantissimi i sogni nel cassetto, per ora ci accontentiamo di ciò che ci sta succedendo che mi sembra già davvero tanto. Comunque io un sogno l’ho già realizzato ed è suonare col nostro nuovo batterista, Federico, perchè spacca, punto e basta.
  • Restando sull’album, m’è piaciuto molto il video di “It was bliss”. Raccontacelo un po’.
  • E: Anche a me piace molto quel video! L’ha realizzato un nostro amico di Portland che si chiama Jeremy Johnstone, un vero genio per quello che riguarda le nuove tecniche di animazione come macromedia flash. Non ha nessuna storia precisa, ed è un misto di qualche ripresa live fatta in inghilterra da altri amici, Nicola e Ben, e qualche disegno di Jeremy stesso, mischiato ad elementi grafici della copertina del disco, opera di Tae Won Yu. Tra poco dovrebbe cominciare a passare su Brand: New. Siamo molto orgogliosi di questo video in quanto pensiamo ai clip non come beceri mezzi di promozione, ma come vere e proprie opere creative che accompagnino a dovere la musica.
  • Quali sono gli ascolti (e non solo) che maggiormente influenzano la vostra musica?
  • E: Beh necesariamente altra musica. Ascoltiamo tutti cose molto diverse, c’è chi è appassionato di indie in senso stretto, chi di avanguardia e jazz, chi dei classici dei ’60 e ’70, chi del punk e dell’hardcore, chi di tutte queste cose messe insieme. Inoltre siamo tutti lettori molto fervidi, ci piacciono De Lillo, Hornby, Fante, Bunker, Calvino, Poe e una miriade di altri. Credo che per alcuni di noi anche i film rappresentino qualcosa di importante, ma sono il meno appropriato per rispondere: andrò al cinema 3 volte in un anno!
  • Siete inquadrabili in una nuova ondata di gruppi indipendenti italiani capaci però di fare grandi cose (anche grazie all’ottimo lavoro di certe etichette come appunto la Unhip). Come vedete questo interesse diffuso per determinati gruppi? Secondo voi c’è una specie di “mafia della musica alternativa” come asseriscono alcuni o è semplicemente il frutto di gente che si dà da fare e lo fa anche bene?
  • E: Oddio, nuovi, mi sembra esagerato, oramai sono 5 anni che ci muoviamo col gruppo, non mi sento affatto un novizio! Chi parla di mafia secondo me dice un mucchio di castronerie, conosco un sacco di gente che lo fa e sono solo persone che registrano un demo e aspettano sulla riva del fiume che passi qualcuno ad aiutarli. Noi prima di avere etichette e booking abbiamo fatto tanti anni di gavetta, andando in tour per molto tempo ogni anno e organizzando noi stessi concerti e festival. Si chiama DIY: nesuno ti considera? bene! muoviti da solo se credi davvero in ciò che fai, prima o poi i risultati arriveranno. Devo aggiungere che gli anni in cui ci muovevamo prevalentemente nella scena hc/punk, (anche se musicalmente centravamo davvero poco), sono stati davvero formativi, era una scena piena di input, molto viva, con tante band dalla propria identità che si conoscevano e collaboravano. Era vivo e stimolante quell’ambiente, parlo a titolo personale, ma per me è stato uno dei più grossi incentivi ad andare avanti. Per quello che riguarda Unhip cosa posso dire? Ora come ora secondo me è la migliore etichetta in italia, ha delle ottime band, una grande cura per i dischi e alla base c’è soprattutto un bel rapporto di amicizia con Giovanni e gli altri ragazzi che la compongono, è una label mossa dalla passione per la musica, e credo che i risultati si vedano. Inoltre ora è un fantastico momento per l’italia, ci sono band che si sbattono davvero e suonano meravigliosamente: disco drive, the death of anna karina, fine before you came, la quiete, laghetto, thousands millions, populous, the tunas. Se ci sono i gruppi c’è tutto a mio avviso. Ecco perchè è un buon momento.
  • “The plural of the choir”, un disco vitale, a me personalmente è piaciuto molto. Qual è stata la sua genesi? Come lo definireste?
  • E: E’ il nostro secondo disco. Anzitutto ha avuto una scrittura molto più concisa di “Dance A While Upset”, che invece raccoglieva canzoni che magari erano già vecchie di qualche anno. E’ un album che assembla tutte le nostre esperienze e le sintetizza in 15 pezzi. E’ un racconto breve con molti sbalzi di umore, e ti passo la definizione di “vitale” nel senso che è un concentrato di un anno delle nostre vite, un lavoro a 10 mani in cui nessuno ha offerto meno di altri. Inoltre siamo davvero felici della sua resa sonora e grafica, merito rispettivamente di Brian Deck e Tae Won Yu.
  • Due chiacchiere con Emilio, chitarrista dei bolognesi Settlefish che con il loro secondo album uscito nel 2005 per Unhip, “The plural of the choir”, si sono rivelati una delle realtà più interessanti del panorama rock italiano.

    Prima di tutto ho letto che state per partire con un tour negli usa. Come nasce questa possibilità? Cosa vi aspettate dall’esperienza?

  • Emilio: Ti sbagli! Noi il tour negli states l’abbiamo già fatto quest’estate! Sono stati 41 bellissimi giorni in giro per il nuovo continente con i nostri amici Desert City Soundtrack, che si sono occupati anche di organizzare l’intera tournée! Siamo partiti da minneapolis e abbiamo terminato a portland sulla costa pacifica. Il tour ha toccato anche il canada e una grande parte degli USA. E’ stata una delle esperienze più belle della mia vita e mi è piaciuto riscontrare che la nostra musica è apprezzata là anche dove il rock è nato! Poi vuoi mettere la soddisfazione di suonare in club come la casbah di san diego o il bottom of the hill di san francisco? Una meravigliosa avventura, ripartirei ora!