Here comes the creatures

  • Rocklab: Partiamo dal (quasi inizio): progetto demo 2004, Benicassim, poi due anni
    abbondanti di latitanza e voilà, ecco il disco… ma cosa è successo nel frattempo?
  • Micecars: Io non la chiamerei latitanza, semplicemente ci siamo presi il tempo che ci serviva a fare il disco che volevamo.
    Dopo Benicassim abbiamo fatto un po’ di concerti in giro, abbiamo aperto per i Delgados a Bologna ed abbiamo cominciato a buttare giù le basi del disco. Siamo entrati in studio la prima volta ad aprile del 2005 e siamo usciti con il disco finito ad ottobre dell’anno dopo. Ovviamente con intervalli anche di mesi tra una session e l’altra. In studio abbiamo vissuto l’elezione del nuovo Papa, l’inagurazione delle Olimpiadi di Torino e qualche partita dei Mondiali. E’ stata una bella esperienza.
  • R: Molti pensano che vi si sia incastrato un disco dei Pixies nel lettore cd, ma secondo voi, quanto credete di dovere a gruppi come quello citato o i Pavement o i Grandaddy?
  • M: Siamo sicuramente debitori di un certo tipo di estetica indie america anni ’90, ma non credo che i MiceCars siano assimilabili ad un gruppo in particolare.
    Tra di noi abbiamo gusti e caratteri diversissimi, ma un modo molto simile di ascoltare la musica. Siamo molto affascinati dai dettagli, dai particolari e troviamo cose in grado di colpirci sia in una canzone pop che in composizioni sperimentali. Ascoltiamo cose che vanno dall’hip hop, al country, al noise, all’elettronica, l’indie rock e poi abbiamo delle band che fanno in qualche modo da “collante”. I Pixies sicuramente sono tra queste così come, in maniera minore, Pavement e Grandaddy. Per dire: i R.E.M hanno avuto un ruolo molto più centrale nella nostra educazione musicale.
  • R: Parlatemi del disco… secondo voi che impressione ha fatto sul pubblico, avete avuto commenti che vi hanno particolarmente colpito, avete l’impressione che la gente abbia ben recepito quello che siete… o non ci hanno capito un cazzo di voi?
  • M: Abbiamo avuto recensioni molto lusinghiere, ma anche commenti feroci. Di solito questi ultimi sono anonimi, mentre le recensioni le firmano sempre.
    A parte gli scherzi: non voglio risultare presuntuoso, ma non ci siamo mai posti il problema di come il disco potesse essere considerato dalla gente. L’abbiamo fatto per noi, volevamo che queste canzoni non rimanessero chiuse nei cassetti delle nostre camerette. Per noi è importante il fatto che il disco sia stato fatto, tutto quello che è successo dalla sua uscita in poi è un di più.
    L’opinione della gente ci interessa, soprattutto le critiche. Quando non sono pretestuose ci aiutano a crescere e migliorare. Ma, ripeto, per noi è meraviglioso già solo il fatto che ‘I’m the Creature’ esista.
  • R: Come vanno le cose con la Homesleep? Vi ha preso e guidato nella realizzazione di questo album oppure avete potuto sfruttare una buona dose di
    libertà di scelta durante le registrazioni? Insomma siete soddisfatti del disco come è venuto fuori?
  • M: Beh, se non fossimo stati soddisfatti non l’avremmo mai pubblicato. Homesleep ci ha permesso di mettere piede in uno studio, l’Alpha Dept di Bologna, che prima di entrare in contatto con loro era fuori dalla nostra portata, ha permesso di instaurare un rapporto umano con le persone che poi hanno lavorato con noi. Per il resto abbiamo fatto tutto da soli, nessuno ci ha fatto pressione e tutte le scelte le abbiamo prese secondo la nostra volontà. Questa storia delle etichette che limitano la libertà dei gruppi è un po’ un falso mito. Certo se il disco non fosse piaciuto potevano decidere di non pubblicarlo, fortunatamente non è stato il nostro caso.
  • R: E il lavoro in studio con Matteo Agostinelli e Francesco Donatello? sono due sfaccettature diverse dell’indie italiano…
  • M: Matteo è principalmente un musicista, Francesco invece è un genio dello studio. Con tutti e due le cose sono andate benissimo, hanno assecondato le nostre idee ed hanno messo a disposizione le loro conoscenze tecniche e non solo per aiutarci a realizzarle. Con il primo avevamo un rapporto anche prima di entrare in studio, Francesco invece l’abbiamo conosciuto piano piano e dopo un po’ di normale diffidenza (siamo tutti molto timidi) è sbocciato l’amore. Ora dormiamo tutti con la sua foto sul comodino.
  • R: Se non sbaglio nel tempo avete subito diversi cambi di line up, una volta che vi ho visto eravate in quattro, quella dopo in sei… è stata una line-up travagliata?
  • M: I MiceCars non sono nati come gruppo, ma come un “gioco” tra amici: Peter T e Little P, che scrivono anche le canzoni. Quasi subito mi sono aggiunto io, PL, ed abbiamo fatto il demo con l’apporto di amici talentuosi al basso e alla batteria. Tra questi c’erano anche Emanuele Sterbini, degli Sweepers, che è stato il nostro bassista nel primo concerto al Circolo degli Artisti, e Matteo, bassista anche lui, che è tutt’ora nella line-up ed ha un ruolo fondamentale non solo per quanto riguarda il suo strumento. Dopo Benicassim alla batteria è arrivato Emanuele.
    Non abbiamo mai avuto problemi di line-up o cose simili, semplicemente i brani sono molto ricchi e vorremmo riprodurli senza essere costretti a lasciare per strada elementi per noi imporantissimi. Per questo il tour di ‘I’m the Creature’ vedrà sul palco sei persone. Gli special guest sono Sandro, voce e chitarra dei Turnpike Glow ed Enrico dei Cruel Nippon. Io non suono, giro per il locale e vendo il Coccolino agli astanti.
  • R: Domanda “straclassica”: quanto è difficile oggi suonare e cantare in inglese ed avere un minimo di riconoscimento italiano?
  • M: Non lo so, non ci siamo mai posti il problema, semplicemente non abbiamo mai pensato a cantare in italiano, per cui per noi è naturale e per niente difficile.
    Credo che anche qui sia quasi tutta colpa del nostro background da ascoltatori.
  • R: Il disco, i concerti, la band sulla bocca di tutti… effetto hype o scadenza a lungo termine?
  • M: Mah, a me fa sorridere parlare di “effetto hype” in Italia e per una band italiana. Alla fine nei giri che contano nessuno sa cosa sia l’indie, i MiceCars, la Homesleep. Questo tipo di musica è ancora di nicchia, in Inghilterra quando esplode un gruppo come gli Arctic Monkeys se ne parla anche nei telegiornali, le band arrivano al numero uno in classifica, si smuovono cose ben più eclatanti.
    Noi comunque andiamo avanti per la nostra strada, cercando di fare le cose che ci piacciono e nel modo che riteniamo più giusto. Per esempio, in futuro, ci piacerebbe molto cimentarci con la scrittura di una colonna sonora per un videogioco. Anzi, se c’è qualcuno interessato…
  • R: Come e dove avete trovato l’illustratore asiatico che ha prestato suoi lavori alle pagine del vostro booklet?
  • M: Gun è giapponese ma vive a Roma da un bel po’. Si vede spesso in giro, è impossibile non notarlo: è alto, sempre vestito come un membro dei Blue Cheer, con i capelli lunghissimi. Siamo diventati amici e avendo visto i suoi lavori ci sono tornati immediatamente alla mente al momento di scegliere come impostare il booklet del disco.
    Tra l’altro è simpaticissimo, ultimamente passa gran parte del suo tempo a cercare di convincere la mia ragazza della mia omosessualità.
  • R: Se fanno una rissa Hulk Hogan, Ultimate Warrior e The Undertaker chi vince e perché?
  • M: Hulk Hogan è il re. E’ come Elvis per il rock and roll, talmente grande da essere diventato quasi istituzionale.
    The Ultimate Warrior, quando è venuto fuori, era come il punk, con il suo stile anarchico e disordinato, pronto a radere al suolo qualsiasi cosa gli si parasse davanti.
    L’Undertaker degli anni 90 era grandioso. Esteticamente perfetto, la sua camminata sulle corde è una delle più belle cose viste su un ring di wrestling.
    Per continuare con il parralelismo filologico/musicale: lui era come il post punk. Meno eclatante di Ultimate Warriors ma al tempo stesso meno tradizionale e più innovativo.
    Ora è diventato un personaggio un po’ patetico.
    Come certe band a fine carriera.