Due chiacchere con Paolo Saporiti

  • In occasione di un recente concerto nella sempre affascinante cornice della Casa 139, abbiamo avuto la possibilità di incontrare e conoscere Paolo Saporiti, autore nell’anno appena trascorso di uno dei più riusciti dischi di debutto nel panorama nostrano, esordio che ha parallelamente sancito il battesimo discografico anche della sua label, la milanese Canebagnato Records alla quale abbiamo di recente dedicato uno speciale. Nel rimandarvi all’analisi fattane a tempo debito dall’amico Paolo Viscardi sottolineiamo soltanto la perfetta resa sonora dei brani di Saporiti dal vivo, nella propria essenza sobria e spoglia, intensa e vibrante. Il silenzio curioso e assorto creatosi in sala attorno all’artista solo sul palco è sembrato un buon attestato di stima da parte dei presenti. Paolo si è dimostrato una persona estremamente gentile e disponibile come di rado capita d’incontrarne.

    Rocklab: Per iniziare invitiamo l’autore a raccontarci qualcosa sul suo passato

  • Paolo: Scrivo musica da quando ho 18 anni,la prima chitarra mi fu regalata a 14. A quel tempo suonavo soltanto cover e la mia prima canzone la scrissi inglese, “The Land of your heart”, ma la ragazza a cui era destinata capiva poco d’inglese e ancor meno di musica e non ne fu così colpita da tornare sui suoi passi. Adottai da allora la musica come compagna e come valvola di sfogo.Ai pochi altri ai quali sottoposi quel brano la mia musica piacque e così presi come buona la scelta della forma canzone per comunicare al mondo le mie emozioni più forti
  • R: Hai sempre scritto in inglese? E davvero riesci ad essere spontaneo nelle tue liriche,che spesso paiono così intime e fragile, nonostante tu non ti esprima nella tua lingua madre?
  • P: In realtà ho nel cassetto circa una quindicina di pezzi scritti in italiano e risalenti agli esordi ma messi oramai da parte e che non credo vedranno mai la luce.Sinceramente mi trovo davvero a mio agio con l’inglese e con l’inglese soltanto, e oramai l’abitudine è tale che penso e rielaboro le mie liriche direttamente in questa forma
  • R: Chissà quante volte avremo sentito dire che nel nostro paese è ancora difficile suonare con una certa continuità per chi non canta in italiano,specie per chi non propone sonorità prettamente “rock”, confermi o puoi aiutarci a sfatare questa leggenda?
  • P: Purtroppo devo confermarla, anche se si tratta davvero di una situazione paradossale alle soglie del 2007. A volte capita di ricevere complimenti, proposte, ma sempre precedute da mille ma e cento se. Incredibile, specie in certi ambienti e circuiti dove penseresti che la mentalità sia ben diversa e invece si pensa prima di tutto alla cassa e a strategie promozionali i cui risultati sarebbero tutti da verificare
  • R: I tuoi testi sono indubbiamente introspettivi e non nascondono le paure, i dubbi, vi si confrontano ma a volte paiono lasciare trapelare una certa melanconia, un certo sconforto, fin dal titolo del tuo lavoro, “The Restless Fall”.
  • P: Come ti ho anticipato scrivo musica da molto tempo, ma tutti i pezzi presenti nel mio disco sono successivi al 2003,anno in cui ho affrontato la perdita di mio padre.Il dramma che ho attraversato ha costituito un evento fondamentale anche per il mio percorso artistico, mi ha messo di fronte alle peggiori paure, alle amarezze più profonde e la mia musica credo ne abbia tratto linfa,intensità,sintesi. E sono proprio le grandi cose quelle che ti lasciano indifeso a temerne la fine. Essere innamorati, come lo sono in questo momento, e all’improvviso provare terrore davanti al pensiero che tutto finisca, ad esempio
  • R: Non capita spesso che un artista sia disposto ad entrare nel personale, ne prendiamo rispettosamente atto e glielo facciamo notare
  • P: Penso faccia parte del gioco,no?In fondo canto perché le mie esperienze arrivino agli altri e dunque a che pro mentire o nascondere delle verità che potrebbero aiutare a capire?
  • R: Raccontaci qualcosa del tuo primo concerto in assoluto;emozioni,impressioni
  • P: Vediamo un po’…beh,si, è stato a Torino, in un locale, quando ancora studiavo psicologia all’università. Frequentavo gente sbagliata e locali ancora più distanti da quello che ero e stavo diventando.
    Zero esperienza da parte mia e nessuna competenza come fonico, penso che quella sera il pubblico non abbia sentito né capito nulla di quello che facevo, ma ai miei amici piacque e mi incoraggiarono a continuare e allora decisi di riprovarci ancora e ancora.Quelle prime esperienze dal punto di vista tecnico furono probabilmente un disastro, ma sono state la vera e propria gavetta, quella che mi ha dato la convinzione nei miei mezzi e nella mia proposta musicale.
    Fu un periodo piuttosto delicato per me dal punto di vista emotivo e proprio la vicinanza di quelle persone mi permise di andare avanti e crederci.
  • R: Parliamo un po’ delle tue influenze musicali;direi certo folk rock,inevitabilmente, ma specie quello che scrivi per i Don Quibol lascia emergere una vena molto più scura ed inquieta e certe armonie vocali mi riportano dritto a Layne Staley
  • P: Anche per motivi generazionali resto legato a tutto quello che fu Seattle all’inizio degli anni 90. Indubbiamente gli Alice In Chains sono stati un gruppo fondamentale per la mia crescita musicale, le loro vene scoperte, quell’emotività fragile. Così come Mark Lanegan, i Pearl Jam. Per il resto sono molto legato al classico suono west coast, i Byrds, Crosby Stills & Nash, Neil Young, così come certi cantautori emersi nel decennio successivo che seppur vengano citati poco frequentemente mi hanno letteralmente stregato, primo fra tutti Jackson Browne
  • R: Progetti per il futuro?
  • P: Suonare, suonare e suonare, sia da solo che con i Don Quibol. La mia etichetta non ha ancora una distribuzione ufficiale e proprio per questo i pareri della critica sono arrivati anche a distanza di mesi dall’uscita del disco e tuttora capita di imbattersi in recensioni nuove di zecca.Proprio per questo speriamo siano sempre di più le occasioni per proporre la nostra musica a chi ancora non ci conosce specie in vista della bella stagione.